sto leggendo un libro incredibile, bello e vero. Si intitola apeirogon. Ad un certo punto leggo questa frase, questo pensiero: “…Nella partitura scritta da John Gace per la sua composizione sperimentale intitolata 4’33’ ai musicisti è chiesto il tacet per 4 minuti e 33 secondi. Tacet vale a dire non suonare una sola nota con lo strumento. Gace disse che il suo intento era rendere gli iniziale 4’33’ seducenti come la forma e la fragranza di un fiore.” Tacet non suonare, non dire, rimani in silenzio. Oggi l’intermezzo è proprio così. Un intermezzo silenzioso, un intermezzo tacet. 4’ e 33’ sono un infinità di silenzio, sono un tempo che non finisce più. Anche Namas quello della cascina, aveva i suoi silenzi. Io lo chiamavo il silenzio della ripartenza, perché dopo il silenzio lui ripartiva; aveva proprio bisogno di un tempo silenzioso. E poi via di nuovo. Anche il Namas creatore aveva i suoi silenzi. Io lo chiamo il silenzio di Dio. Un Dio che tace, che può anche tacere, ma che nono si dimentica mai dell’uomo. Tacet è imparare a tacere per stare con il proprio cuore, è tacere per ascoltare, è tacere per rinascere. Da una postura piegata come sono io in questi giorni ad una retta, rinata, rimessa in piedi. Ma ho bisogno di un lungo e faticoso silenzio. Non ho bisogno di riposo ma di silenzio interiore. Tacet. E allora questo intermezzo si conclude qui. Una questione rimane aperta: il mio vero problema non è trovare il tempo per tacere, ma rimanere costante nel tacet. Don Roberto era un rigoroso e ci riusciva benissimo, la costanza era il suo pezzo forte. Il mio pezzo forte è l’incostanza. Tacet con costanza un bel motivo per vivere il presente e il futuro.
L’incostanza non è solo tua don, anche per me la costanza non sempre esiste.. Anche se amo il silenzio è come un cammino nella pace…