resistenza

di | 2 Giugno 2020
Dietrich Bonhoeffer

Ho il mito di mio nonno che era partigiano e aveva fatto la resistenza, anche mio papà aveva fatto a suo modo, da ragazzo la resistenza, con la bici faceva la staffetta per portare cibo, e non solo, ai partigiani. In casa questi ricordi erano all’ordine del giorno. Dalla resistenza siamo rinati. Ieri Mattarella in qualche modo ci ha invitato a resistere uniti in questo tempo difficile. Ma io dopo una giornata complessa come ieri non ho molta voglia di resistere, mi sono arreso, e per un attimo ho detto: lascia andare tutto, finiscila e non pensare più, pensa solo a te. Fino a che punto si può resistere e quando ci arrende alla vita? per Bonhoeffer questo è uno dei grandi temi della sua vita. Il grande tema di quando era in carcere al tempo del nazismo perché accusato di avere preparato l’attentato a Hitler. Famosa è la sua lettera all’amico Bethge del 21 febbraio 1944, poco prima della sua impiccagione. La lettera è proprio sul tema della resistenza e della resa. Eccone un passaggio: «Mi sono chiesto spesse volte dove passi il confine tra la necessaria resistenza e l’altrettanto necessaria resa davanti al “destino”. Don Chisciotte è il simbolo della resistenza portata avanti fino al non-senso, anzi alla follia… Sancho Panza è il rappresentante di quanti si adattano, paghi e con furbizia, a ciò che è dato. Il  limite tra resistenza e resa non si può determinare dunque sul piano dei principi, dei valori, non posso dire resisto fino alla fine nei miei principi. Bonoheffer propone una soluzione diversa:  “l’una e l’altra devono essere presenti e assunte con decisione. La fede esige questo agire mobile e vivo. Solo così possiamo affrontare e rendere feconda la situazione che di volta in volta ci si presenta» credo che la grandezza di Bonhoeffer sta in questa spettacolare sintesi. Io traduco così. Di fronte alla vita vi è una presenza, una decisione di assunzione di responsabilità. È la decisione di assunzione di responsabilità che segna la mia resistenza. L’uomo adulto decide di assumersi la responsabilità della propria e dell’altrui vita. L’assunzione della responsabilità non è di don Chisciotte, lui sogna, non si assume responsabilità.  Io misuro la mia libertà in questa assunzione piena di responsabilità, cioè non faccio l’eroe buttando addosso agli altri la responsabilità del mio eroismo. Ma poi vi è una seconda parola: forza; essa è la condizione per rimanere presenti. È la condizione per non fuggir via. La forza non apparteneva a Sancho Panza. La resistenza non è allora, sto fermo nei miei principi di vita, ma sto fermo nella mia originaria decisione di stare nel mondo, e con la mia forza misuro di volta in volta come stare dentro il mondo, come essere per gli altri.  Solo quando tengo in vita responsabilità e forza sono in grado di tenere viva in me la capacità di discernere dove resistere e dove arrendermi. Ogni giorno vivo il travaglio tra il ricominciare nella resistenza alla responsabilità e la resa alla mediocrità. Non sono più colui che vive il travaglio della coerenza perché so che è l’impresa di chi va contro i mulini a vento, perché conosco la mia incoerenza. Ogni giorno vivo il travaglio della responsabilità e della forza. Ogni giorno è come se dovessi, grazie alla mia forza interiore, rinascere alla responsabilità che produce effetti e storie nuove. Io non voglio arrendermi alla mediocrità, ma resistere nella mia responsabilità per rinascere ogni giorno. Ieri nel mio attimo di stanchezza non ho ceduto ai miei valori, ma alla mia assunzione di responsabilità, alla mia forza.  Certo tutto questo è a caro prezzo. Ma di questo parleremo domani.

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