potature

di | 15 Febbraio 2023

Oggi sono venuti i ragazzi della scuola sacra famiglia di Comonte, corso operatore agricolo. Ogni tanto arrivano accompagnati dai loro insegnati e fanno i loro stage. In questo caso l’idea era quella di insegnare a potare le piante. Bel lavoro, lavoro ben fatto. Finito il loro lavoro faccio un giro veloce tra le nostre piante da frutto. Noto quanti sono i rami potati, quanti sono i rami rimasti per terra. ne prendo uno tra le mani e vedo il profondo taglio della potatura, mi avvicino ad una pianta e vedo anche lì il profondo tagli inferto. lo so che questa operazione è necessaria, ma quei tagli profondi mi hanno fatto riflettere. Mi hanno fatto pensare a come si deve potare, una potatura è anche un po’ un taglio, una sofferenza.  Ripenso alla nostra storia di Giuseppe e i suoi fratelli e vedo un lungo pianto di dolore e di rabbia da parte proprio di Giuseppe. Il testo dice così: Giuseppe uscì in fretta, perché si era commosso nell’intimo alla presenza di suo fratello e sentiva il bisogno di piangere; entrò nella sua camera e pianse.  E poi ancora: Allora Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi a tutti i circostanti e gridò: “Fate uscire tutti dalla mia presenza!”. Così non restò nessun altro presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. 2 E proruppe in un grido di pianto. Gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. È un grande grido, un grande pianto di liberazione. Ma questo pianto è anche una dolorosa potatura. Perché dico questo? Perché questo pianto liberatorio diventa per Giuseppe la potatura di tutto quello che aveva dentro di rabbia nei confronti dei fratelli che lo avevano venduto schiavo. Aveva bisogno Giuseppe di piangere con questo grande grido che sentirono tutti gli egiziani, perché era l’unico modo per liberarsi, per potare, per tagliare tutto quello che si portava nel cuore. Il pianto di dolore – dolore per un rapporto mancato – è il primo segno di un cammino interiore di riconciliazione di Giuseppe nei confronti dei fratelli. Un cammino reso possibile solo dall’aver toccato, attraverso la loro angoscia, la disperazione che aveva vissuto vent’anni prima in fondo al pozzo. Il pianto è necessario per liberare quello che sta nel profondo di noi stessi. So che noi siamo persone che non vogliamo piangere perché sembra essere un segno di debolezza, ma a volte un pianto non è solo liberatorio, ma anche una dolorosa potatura.

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