Ne avrei ancora una sfilza di ortaggi da commentare, ma per non stancare ci fermiamo ai pomodori. Che sono di aspetto regale. So che hanno bisogno di attenzione, so che sono belli, so anche che mi fanno arrabbiare per quel loro aspetto un po’ regale e vanitoso ma che ti costringono sempre a dare un occhio a come crescono. E allora dico: fate un po’ meno i re, e siate un po’ meno vanitosi perché se non vi guardo con costanza finite in un disastro di rami e foglie. e dite grazie ogni tanto! È come chi si crede grande e autosufficiente e poi alla fine grida aiuto. Il pomodoro è come l’uomo, crede di essere il re del mondo, libero, autosufficiente, capace di fare tutto e alla fine si accorge, l’uomo, di aver sempre bisogno di aiuto, un aiuto che il più delle volte non accetta mai e quindi alla fine rimane con le sue fragilità e le sue sconfitte. L’aiuto che regalo al pomodoro è un sostegno, un bastone diritto piantato vicino alla piantina. E poi la continua legatura perché possa crescere bene verso l’alto. Ma soprattutto l’aiuto più importante è la scacchiatura dei rami inutili. È quell’operazione che permette di rimuovere tutti quei polloni o germogli ascellari che impediscono alla pianta di crescere diritta e verso l’alto. Sono interventi che vanno fatti con regolarità e che permettono alla pianta di crescere bene. Troppe inflorescenze produrrebbero troppi pomodori e nessuno di essi si svilupperebbe bene. la pianta di pomodoro così regale ha bisogno di essere potata nel modo giusto. Quindi anche il re, il signore del mondo, il vanitoso deve essere potato se vuole dare frutti. Non so se la parola potatura rientra nelle parole che compongono il verbo generare, ma io ce la metto: potare per crescere. Temo sempre questo momento della scacchiatura. Perché sbaglio sempre i tempi: o troppo presto o troppo tardi, quando ormai non sai bene che cosa potare e togliere. Ma soprattutto temo questa operazione perché se sbaglio il ramo, finisco per tagliare la testa della pianta di pomodoro e quindi blocco la crescita della pianta. Ogni tanto dico alla pianta arrangiati tu, taglia da sola quello che vuoi, io per paura di sbagliare non mi assumo nessuna responsabilità. E la pianta mi rimanda, forza dai prova, prenditi le tue responsabilità. Sempre dover prendersi delle responsabilità, ma io sono stanco di prendermi responsabilità. Chi vuol fare al mio posto questa operazione, chi vuole prendersi al mio posto le mie responsabilità. Ma alla fine questo lavoro della scacchiatura lo faccio io. Perché ho paura che gli altri non facciano le cose bene. E questa si chiama presunzione e poca fiducia. Mi piace sistemare i pomodori da solo. Rilassa, mi guardo intorno, mi guardo dentro e mi chiedo che cosa devo togliere dalla mia vita. Se non fosse per quella maledetta paura di sbagliare è il lavoro che amo di più nell’orto. Sempre la paura di sbagliare che mi blocca. Ma i pomodori hanno un carattere non solo regale, ma anche verticale. Vanno verso l’alto, guardano il sole e il cielo. Sono protesi verso il divino. Nella verticalità l’uomo conosce il suo senso, nel suo essere proteso verso la luce l’uomo capisce da dove attingere vita. Verso l’alto, verso il divino. Quando provo a stare in posizione eretta e verticale sento che sono slanciato, sento che sono vivo; quando mi ingobbisco incurvandomi su me stesso sento che mi chiudo alla luce. Il pomodoro mi ricorda che io sono fatto per una postura che è slanciata verso l’alto, verso il cielo, verso il divino.