Ieri era il 17 agosto, ricordo della morte di don Roberto. Non abbiamo celebrato la solita messa mensile, ma ho pensato un poco a lui oggi. Anche Olga me lo ha ricordato. Ricordando don Roberto e pensando al futuro, vorrei aggiungere un pezzetto allo scritto di ieri. L’economia in questi anni è cresciuta a dismisura, fino ad andare in crisi. Si pensava ad una crescita senza limiti, ed invece il limite è arrivato. Si pensava di aver trovato la formula magica capace di incrementare a dismisura le capacità dell’uomo. I risultati li vediamo oggi: una frenata nella crescita, una caduta della crescita. Il mondo è stato come diviso in due: un livello micro ed un livello macro. Un grandioso e gigantesco livello micro, piccolo, nascosto, esposto a tutta la precarietà possibile e dall’altra parte, uno piccolo di numero, ma forte di potere, di macro, di grandiosità. E qui mi collego a don Roberto. Egli ha messo insieme un piccolo mondo, un micro-mondo. Rispettoso, che produceva, che creava relazioni buone dentro e fuori. Che non si è mai chiuso su sè stesso e che ha fatto della relazione l’arma vincente. L’agro, pur avendo avuto la possibilità, non ha mai voluto diventare macro-grande. E forse questa è stata la sua fortuna. Un mondo dove convivevano pacificamente dal più piccolo insetto al grande uomo. Un mondo su misura, disegnato perché tutto potesse trovare spazio e non invece essere sradicato per far spazio al grande. Un micro mondo aperto sul grande mondo, ma che ha custodito la bellezza del micro, del piccolo. Non si è mai fatto suggestionare dal macro mondo. Che cosa c’entra questo con il discorso sul futuro, e sulla crescita illimitata come principio fondamentale del mondo contemporaneo? Che cosa c’entra l’agro con il micro mondo e con il macro mondo che vediamo sulla terra? Io credo che il paragone tra piccolo Agro e il mondo regge molto bene il confronto e la sfida sul futuro. Lo regge in maniera positiva: se invece di creare pochi grandi mondi, ne mettessimo insieme tanti piccoli, magari federati tra loro, avremmo già vinto la prima sfida, anche il piccolo reggerebbe la sfida e non verrebbe mangiato dal grande. Inoltre si creerebbero un’enormità di relazioni, di scambio di idee, tra tanti piccoli, dove un piccolo sostiene l’altro piccolo. Dovrebbe essere la sfida dei piccoli paesi di montagna che rimanendo piccoli, ma federati tra di loro, si sostengono a vicenda. Tanti piccoli agro. anche per le nostre parrocchie: tanti piccoli agro federati tra di loro. Ma l’idea del micro e dell’agro regge bene la sfida anche a livello mondiale. Qui entra in gioco quella parte drammatica del micro, del piccolo a livello locale, mondiale, di chiesa. Cosa voglio dire? La realtà attuale dice che il micro, il piccolo è continuamente esposto ad una continua precarietà che si esprime a tutti i livelli, anche a quello di senso. Infatti parlare di micro e di piccolo non ha più significato nel nostro mondo, dove vale solo il grande. Sì, il piccolo è esposto alle intemperie economiche, del lavoro, demografiche, climatiche e soccombe prima del grande, oppure viene mangiato dal grande. Ecco dove il micro rischia di essere deleterio, non per sua volontà, ma l’arte predatoria del grande. Il futuro lo vorrei vedere nel micro, nel piccolo federato insieme. Perché l’agro ha saputo resistere fino a quando c’è stato don Roberto? Perché era un micro mondo vivo al suo interno e pieno di relazioni buone all’esterno. Forse l’idea comune che il grande è meglio non poi così perfetta. Non si è guardato e ascoltato questo piccolo mondo a sufficienza e il grande in apparenza a vinto. Succede così anche nel mondo: il grande non ascolta il piccolo e se lo prende. Ma è proprio così vero che quello che ha costruito il grande è il futuro sognato e da parte di tutti? Ma è proprio così vero che il grande alla fine ci garantirà un futuro? per il momento vedo solo tutto fermo o in regressione, che avesse ragione ancora il buon don Roberto che dal cielo sorride?
Grazie don Sandro, condivido pienamente le riflessioni in merito al micro e al macro.