COSE DA PRETE 4

di | 26 Novembre 2020

A Rosciano passa un gregge di pecore. Entra nel prato del santuario si ferma un po’, poi se ne va. Vado ad incontrare il pastore, che poi scopro che lo conosco. Mi dice che sono 600 pecore, che scendono da Foppolo e devono arrivare ad Almenno. La famosa transumanza. Parlo un po’ con lui e ci diciamo delle nostre fatiche quotidiane. Lui dice delle sue fatiche di fare il pastore di pecore, un lavoro di grandi fatiche che non rende più. io dico le mie fatiche di pastore di anime e non lo dico a lui, ma lo penso dentro di me, un lavoro che non rende più come una volta. Non tanto economicamente, quanto come opportunità di realizzazione sociale e meno male che non è più così. Passo in mezzo alle pecore, ai cani e agli asini e ne sento il profumo, o meglio l’odore e non posso non ricordare le parole di papa Francesco: portare addosso l’odore delle pecore. In africano, in lingua fon si dice “accetto il tuo odore” che equivale a: ti voglio bene. La lingua fon si parla in Togo, in Nigeria e in Benin. Accetto il tuo odore cioè ti voglio bene. Intanto che passano le pecore, la gente si ferma a guardare per un attimo. Ma nessuno si lancia in mezzo al gregge, nessuno rivolge una parola al pastore.  La gente esce, guarda, commenta la bellezza delle pecore, ma commenta e non si mescola con le pecore. Si scandalizza che vengono tosate (non è che gli fanno male, mi dice una persona di cui non dico il nome) e più ancora si scandalizza che per il pastore non è più un affare vendere la lana e quindi vende la carne delle pecore. Questa visione romantica, idilliaca della natura mi fa arrabbiare perché non è reale. È come chi pianta piante facendo un gesto eroico di un’ora e poi le lascia lì senza più guardarle, senza più sentire il loro odore, senza parlagli un attimo. Visione romantica di chi non si mischia con l’odore delle pecore, delle piante, delle persone. Succede così anche per tanti che passano in cooperativa: visione romantica di salvare i ragazzi, dell’orto. ma è talmente romantica che si guarda, ma non ci si mescola. Quando ho visto le pecore ho fatto due cose che nessuno degli spettatori che guardava il gregge ha fatto: mi sono mescolato con le pecore e sono andato a parlare con il pastore. Ed ora puzzo di pecora e di pastore. Accetto il tuo odore, ti voglio bene e mi mescolo con te. Io, don Sandro, accetto il tuo odore e mi mescolo con te. Che tu sia carcerato, ragazzo in difficoltà, padri e madri di famiglia, omossessuali, gente che dice di non credere, ma che ha un cuore grande e poi ancora tanta altra gente, amici e gente comune. È quello che un po’ succede a tutti noi preti: incontriamo un sacco di gente. Io mi lascio contaminare dalle loro idee, dal loro profumo, io accetto con simpatia il loro odore.  Ascolto, apro dialoghi, trovo punti in comune. Non faccio più il grande pistolotto che è importante dare un senso alla vita, magari un senso religioso. Passo in mezzo e dialogo. A tavola succede di dialogare di Atalanta, di arte, di musica, di politica. Questa è la mia catechesi, questo è il mio apostolato. Certo poi bisogna organizzare anche la catechesi vera e propria con i suoi tempi, i suoi modi, i suoi contenuti. Ma non è che anche in questo settore abbiamo bisogno noi preti di lasciarci contaminare dall’odore delle pecore che ci sono affidate? In questo sentire l’odore dell’altro io ritrovo anche un’altra sfida del mio essere prete: quello non solo di stare in mezzo, di passare in mezzo, ma soprattutto quella di dare il meglio di me stesso, per quello che posso dare e fare, per far capire che ci sono le persone che incontro. Devo dare il meglio di me stesso per dire che mi interessa la vita dell’altro, che mi riguarda il suo mondo. Credo che questo dell’interessamento nei confronti dell’altro è una forma alta di donazione. Come direbbe don Milani: I care, tutto quello che esiste mi riguarda e io mi interesso e ne assorbo il profumo, ne accetto l’odore perché così facendo dico all’altro: ti voglio bene.

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