Sappiamo tutti che umanesimo è una parola introdotta in particolare nel 1400 per indicare un movimento che iniziava a rimettere al centro l’uomo e la sua ragionevolezza, attraverso la riscoperta dei classici latini e greci, la bellezza dell’arte e della letteratura, la religione che in qualche modo trae origine dagli antichi monaci. Firenze in Italia è la città che ha incarnato più di tutte quel periodo storico. Erasmo da Rotterdam diceva riguardo all’umanesimo «Ciò che l’occhio è per il corpo, la ragione lo è per l’anima». Oggi si parla di nuovo umanesimo, di umanesimo africano, ma dove sta al centro l’uomo e l’umanità dell’Africa? Forse solo nel suo sfruttamento. Parto da questa parola perché ieri è stato un giorno in cui ho sentito su di me tutta la fatica di dichiarare che siamo umani. Dalle grandi alle piccole cose. Certo che la usiamo questa parola, ma poi l’uomo non sta mai al centro delle scelte e della azioni. Si ho sentito in me tutta la fatica di questa chiesa e di questo mondo non tanto di dichiararsi umano, quanto di vivere l’umano. La scrittura sacra in questo senso quando parla di umanesimo offre una prospettiva del tutto originale e unica. Dio nella scrittura sacra parla sempre in difesa dell’uomo. Tutto il problema biblico è quello di difendere l’uomo, soprattutto il più debole, far sì che viva bene, anche quando gli vengono dati dei comandi. Dice Petrosino: “Nella Bibbia non si parla dell’immortalità dell’anima ma si parla dell’orfano e della vedova, del povero e dello straniero. Questo è il cuore stesso del cristianesimo: non è possibile avere nessun rapporto con Dio se non passa dal rapporto con i fratelli.” La chiesa dovrebbe aver ben presente questa centralità dell’uomo, del povero, del debole. Non dico che la chiesa non fa questo, ma a volte si mette da parte l’umano per tenere bene stretto il comandamento. Ma in un tempo come il nostro vale la pena di essere ancora umani? Vale la pena di incontrarsi, discutere, scegliere tenendo, al centro l’umanità? Oppure serve decidere, progettare, programmare, serve che ci dicano cosa dobbiamo fare? Lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano in “Memoria del fuoco” scrisse: “Dopo ogni riunione, ogni incontro, mi chiedo sempre se sia servito. Sono piccole cose. Sono semplici riunioni. Non eliminano la povertà, non ci fanno uscire dal sottosviluppo, non socializzano i mezzi di produzione, non espropriano la grotta di Alì Babà. Ma forse scatenano la gioia del fare, e la traducono in atti. In fin dei conti, agire sulla realtà e cambiarla, anche se di poco, è l’unico modo per dimostrare che la realtà è modificabile”. Ed è l’unico modo che conosco per rimanere umani.
Sento profonda la tua fatica, don Sandro., in questo tempo di fatiche e di nuove povertà, ci misuriamo, ti misuri anche tu,con l’essenza più profonda di ciascuno. Con quella cosa chiamata umanità, parola troppo spesso abusata e su cui si fanno mille speculazioni. Penso solo questo: senza riempirsi la bocca di tante parole, l’umanesimo lo legge il cuore nel cuore di chi lo vive, nella vita di chi lo nutre, lo sente, forza viva, generatrice di cose buone. Il resto sono chiacchiere e giochi di potere, povertà e meschinità, idee o contenitori vuoti….
Rimanere umani ,desiderando la presenza Divina ,pensare a Dio che cura e pone al centro l’uomo …Questa esperienza porta con sè la fatica ,
di guardare l’umano con gli occhi di Dio che ci è Padre ,tutto è un cammino ,passo dopo passo con il Signore gli assomiglieremo prima o poi .