rito che parla

di | 11 Aprile 2023

Abbiamo concluso ieri dichiarando che un rito deve essere capace di novità, di parlare del nostro tempo. Il rischio è che possa essere un bellissimo rito, ma svuotato del suo significato, del suo senso. Ritengo che il senso del rito è narrare, celebrare, rimettere tutto il creato e l’umanità nelle mani di Dio chiedendo a lui la grazia di imparare a rimanere umani. Ricordo in Bolivia di aver visto un contadino che arava la terra e piantava patate. Lo faceva tutto a mano, senza nessun mezzo meccanico, con due buoi e un aratro antico. La cosa che più mi ha colpito di quella scena di lavoro è stato il fatto che il contadino ogni volta che partiva per fare un solco nella terra con l’aratro si fermava un attimo chinando il capo e quando arrivava in fondo al solco prima di tornare indietro riabbassava il capo. Ho chiesto il significato di quel gesto e mi e stato detto che all’inizio, quando il contadino parte per tracciare il solco, chiede scusa a madre terra perché fa una ferita nella terra e quando arriva in fondo al solco fa una seconda preghiera, prima di tornare indietro, ringrazia Dio e madre terra perché da quel solco nasceranno frutti nuovi. Questo vuol dire celebrare un rito che parla, che narra della vita, non un elemento vuoto. Molti di noi ritengono che una messa è ben riuscita quando ci sta una buona predica, un buon oratore. Io credo che in questo modo non abbiamo ancora afferrato la novità, la bellezza, la creatività di un rito. Credo che possiamo mettere in evidenza due elementi che fanno parlare il rito, che lo rendono attuale. Certo se la predica è buona, meglio. Ma quando una predica è buona? penso quando parla della parola sacra e arriva alla vita, quella di tutti i giorni. I due elementi fondamentali che rendono viva e creativa la liturgia  per me sono i seguenti. Il primo il grazie. In un rito bisogna imparare a dire grazie. Significa ringraziare per tutto quello che succede attorno a me, per tutti coloro che in qualche modo rendono possibile e bella la mia vita, la nostra vita. Un grazie che è fatto di nomi, di volti, di storie, di fatiche e di narrazioni belle. Il secondo elemento è la capacità di rimettere tutto nelle mani del Signore. Consegnare a Dio volti, storie, narrazioni, eventi. Perché lui solo sa che cosa farne di questo affidamento, di questa consegna. Anche in questo caso il rito diventa vero quando la consegna è reale, quando cioè si consegnamo nomi, volti e storie. Non ci possono essere grazie e consegne teoriche, devono essere pratiche e visibili.

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