A volte pensiamo che una buona ricchezza di denaro, di cultura, di beni e di quant’altro di simile faccia la ricchezza dell’uomo. Lo stesso vale per la chiesa: perché si predica il vangelo della povertà e poi si vive della ricchezza dei mezzi? Domanda scottante che dichiara come tra mezzi, ricchezza e povertà il rapporto non è mia stato semplice. Anzi sempre complicato. se si guarda alla storia del cristianesimo si può scoprire la grande differenza tra la ricchezza come fine e la ricchezza come strumento, tra l’avarizia e la ricerca di quel profitto che è indicato in alcuni documenti della chiesa come un indicatore indispensabile dell’efficienza della vita sociale e del lavoro. Ma questa idea del profitto alla fine ci imbroglia la vita e ci mette nell’ottica che il profitto e la ricchezza sono indispensabili, con la variante che si dice che deve essere usata a fin di bene, per uno scopo buono. In questo senso tutta la ricchezza può essere giustificata per un fine buono. Io metterei come base della società non il profitto, ma la fiducia; in questo modo la ricchezza diventa l’elemento che favorisce la crescita del bene dell’altro, perché, in fiducia io entro in relazione con l’altro. Mi fido di lui e non ricerco il massimo profitto, ma il massimo di donazione. Forse fede, economia e profitto si ritrovano unite in un’unica parola: gratuità. Una gratuità che non è un’istituzione e nemmeno una regola ma che è la riscoperta passo passo del rapporto tra le persone, un rapporto fondato sulla “gratitudine”, sul riconoscere l’importanza dell’altro nella mia vita. quando penso alla gratuità della vita impedisco di mettere al centro il profitto, il guadagno, ma nel lavoro metto attenzione alla persona, nell’economia metto al centro le regole del bene comune. la ricchezza è bene di tutti e nella fiducia faccio crescere tale bene comune, non come profitto, ma come condivisione.