Estraggo ancora dalla parola sacra qualche verso e su questo ci costruisco sopra un pensiero che è sicuramente meno grandioso delle parole sacre che cerco di custodire ogni giorno. la parola estratta è dal salmo 123. Intendo per estratta non l’estrazione della lotteria che va alla ricerca del numero fortunato, ma estratta perché prima letta e poi estratta dal testo sacro come parola che illumina il cuore e la mente. Tale parola è la seguente: così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi. Pietà di noi, Signore, pietà di noi. Si tratta di una preghiera corale di popolo accerchiato e preso dall’assedio dentro la città. Ma prima di una preghiera corale di popolo voglio trasformare questo frammento di parola sacra in una questione diversa. Trasformo così: così i miei occhi sono rivolti al Signore mio Dio, finché abbia pietà di me, pietà di me Signore, pietà di me. Non posso innalzare a Dio una preghiera corale, di popolo, se prima non metto in gioco la mia vita. Non posso parlare di un noi se prima non metto un io. Qui per io non intendo il mio io egoistico, ma il mio io conflittuale, il mio io che ha bisogno di una pietà misericordiosa per il mio male. Pietà di me e poi pietà di noi. Anche io faccio parte della grande razza umana che conosce il conflitto, che conosce la fatica della parola dolce e tenera, che conosce il dramma della rabbia. Anche io sono un tipo che fa bei discorsi sulla pace chiedendo pietà per gli altri e non è in grado di costruire rapporti buoni con l’umano che è attorno. E allora la parola sacra estratta da un salmo mi porta a dire e ad invocare così: pietà di me per le mie parole dure e poi pietà per la guerra e la distruzione degli altri. Pietà di me per le mie piccole rivalse o vendette e poi per le vendetta che segna il mondo intero. Ma prima pietà di me e poi pietà di noi.