In una giornata uso un sacco di parole. ce ne sono di tutti i tipi. Quelle che uso quando cerco di dare un senso compiuto alle mie riflessioni. Quelle che uso quando celebro, quando prego. Quelle che uso quando lavoro, quando traffico nelle mie cose. Quelle che scrivo, quelle che uso quando intreccio amicizie. Oggi dopo tutto quello che ho fatto mi sono chiesto se le mie parole hanno un senso compiuto, se hanno senso. Faccio fatica a mettere insieme parole dove alla fine hanno tutte un senso. Mi incespico nelle parole. non ho la bellezza della frase tonda, ma la fatica della parola che si contorce su se stessa. Anche quando scrivo non sono lineare. Ma il problema non è questo. Nella mia fatica a tenere in fila le parole, mi domando se oltre a questo esse hanno un significato finito. Forse c’è una questione che rimane aperta; in questa questione aperta anche le mie parole ci si nfilano pienamente e alla fine perdono tutta la forza del senso. La questione aperta circa le parole è la seguente: vi è come una carestia di parole. qui non intendo la carestia numerica, infatti penso di non aver mai visto così tante parole come in questi anni. Non è una carestia di quantità, ma di qualità. Carestia di parole vere, carestia di parole che edificano, una volta si chiamavano parole edificanti, oggi preferisco dire parole che costruiscono. Oggi si vive dell’invasione di frasi che sono slogan o luoghi comuni. a volte anche io mi infilo in questo strano percorso delle parole vuote e che sanno di slogan. La prima cosa che devo fare se voglio uscire da questa logica delle parole senza senso è quella di tornare a misurare le parole. Possiamo quasi definirla la lotta tra la vita e le parole che danno vita. tra la morte delle parole e la vita delle parole. non mi interessa se le mie parole non sono lineari, mi interessa se sono in grado di generare vita e bellezza, solo così posso dire che le parole hanno senso e hanno un senso compiuto. Forse per avere parole di bellezza, parole di senso dobbiamo sporcarci le mani con la vita reale.