Mosè ha dimestichezza con la camminata, con la scalata. Che sia nel deserto, o in cima al monte Sinai, o quando si guarda in giro camminando per l’Egitto di cui era sovrintendente. Ha dimestichezza con la schiavitù del suo popolo che vuole liberare portandolo via dall’Egitto per condurlo nella terra dei padri, nella terra promessa. Ha dimestichezza con il fuoco ardente che indica una missione: vai dal mio popolo. Ma soprattutto ha dimestichezza con Dio, infatti lui solo tra tutto il popolo può vederlo faccia a faccia. Mosè va solitario, dove la voce lo conduce, a volte queste voce diventa nuvola, altre volte sparisce, a volte è acqua o manna, o tavola delle legge. Ma questa voce lo aiuta a seguire strade mai battute prima. Mosè è un salvato. L’unico che si sottrae allo sterminio delle nascite dei bambini ebrei ordinato dal Faraone, preoccupato dall’incremento demografico della minoranza ebraica residente in Egitto. Mosè è l’unico scampato. E quindi in lui si condensa l’energia dei suoi coetanei, di tutte quelle vite negate. egli porta con sè tuta l’energia dei suoi amici ebrei. Ha dunque questa energia in esubero. Energia da dedicare ad un’ impresa di liberazione. E sarà il grande liberatore. Mosè era portatore della energia necessaria per liberare e per uscire. Egli era capace di reggere, con le sue parole, il compito che la divinità gli aveva affidato. quanto poco so reggere io il mio compito! Parole tali da riuscire a smuovere un’intera popolazione – numerosa, ormai, perché dall’Egitto si spostano più di un milione e mezzo di vite. Grazie Mosè che ci insegni a cercare energia nuova per liberare il nostro popolo