È un breve pensiero quello di oggi. Quando penso alle comunità diffuse, penso ad un sistema di maglie strette. Come una rete da pescatore che ha maglie strette per pescare anche pesci piccoli o come un buon maglione la cui trama è strettissima e l’effetto finale è di una composizione perfetta. Attenzione: ci sono due modi per intendere queste maglie strette. Il primo modo è quello che tali maglie strette servono per portare dentro tutto e di conseguenza controllare tutto. Non mi sfugge niente, niente passa per di qua senza un preciso controllo. Questa non è comunità diffusa, ma comunità che controlla. A volte rischio di essere così anche io: comunità che, in apparenza lascia libero e poi invece vuole controllare tutto. In questo sistema si crea come una cornice in cui tutto deve stare dentro. Oppure, se volete un altro esempio, è come un gran scatolone dove c’è dentro di tutto, ma vale solo quello che c’è dentro, tutto quello che c’è fuori questo scatolone non conta e se conta non mi riguarda molto. Ritengo invece che le maglie strette dentro una comunità diffusa siano un’altra cosa. Immagino così. Tenere distinto i singoli colori della trama del tessuto. Ogni filo colorato ha una sua dignità. Ogni filo merita di diventare parte della trama che compone il tessuto. Ma ogni filo deve rimanere così come è. le maglie strette che compongono il tessuto della comunità diffusa hanno sono lo scopo di creare trame strettissime tra i vari fili colorati al fine di comporre un unico tessuto che mantiene le diversità. Non esiste un controllo, ma una rete di relazioni. Pensate in un paese, in una parrocchia, in una associazione: mille fili di colori diversi che formano un tessuto unico e che alla fine fanno funzionare al meglio il tutto, mantenendo l’identità di ciascuno. Ho sbagliato, lo scopo non è far funzionare meglio il tutto, ma creare trame di relazioni strette e amicali.