Rut 1,18-2,3
18 Vedendo che era davvero decisa ad andare con lei, Noemi non insistette più. 19 Esse continuarono il viaggio, finché giunsero a Betlemme. Quando giunsero a Betlemme, tutta la città fu in subbuglio per loro, e le donne dicevano: «Ma questa è Noemi!». 20 Ella replicava: «Non chiamatemi Noemi, chiamatemi Mara, perché l’Onnipotente mi ha tanto amareggiata! 21 Piena me n’ero andata, ma il Signore mi fa tornare vuota. Perché allora chiamarmi Noemi, se il Signore si è dichiarato contro di me e l’Onnipotente mi ha resa infelice?». 22 Così dunque tornò Noemi con Rut, la moabita, sua nuora, venuta dai campi di Moab. Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo.
Commento
Chiudo con questi versetti il capitolo primo del libro di Rut. Qui viene ribadita la condizione di vita di Noemi. Essa dice, non chiamatemi più Noemi, ma Mara, amara perché amara è la mia vita. Noemi tornata a casa mette in subbuglio il paese di Betlemme, ma lei vuole semplicemente ribadire la sua condizione: sono povera, ero partita con mille sogni e ritorno a casa con niente. Quante volte la vita è così: partenze fatte di mille speranze e ritorni a casa con niente. La vita di Noemi è veramente una povera vita. Se Dio ha fatto grandi cose per il suo popolo, per Noemi ha riservato solo amarezza. Se Dio ha liberato il popolo dalla schiavitù dell’Egitto, per lei ha riservato solo pianto. Quella di Noemi non è una lamentazione di chi cerca consolazione, non è il piagnisteo di chi vive lamentandosi. Si tratta invece della costatazione della fragilità della vita. Il rischio è di chiudersi in questa fragilità, chiudersi nel proprio dolore. Questo è il grande pericolo di chi è segnato dall’amarezza della vita: di chiudersi in questa amarezza. Bisogna in qualche modo rifare un percorso nuovo, di speranza, di rinascita. I versetti di oggi ci lasciano due segni di speranza, due piccoli fatti che ci dicono che si può ripartire, che si può rinascere. Noemi, dice il testo, tornò con Rut. È silenziosa Rut, ma è presente e condivide la fragilità e la povertà di Noemi. La speranza è legata al fatto che qualcuno c’è, che non si è abbandonati, ma amati. L’amicizia di Rut è la salvezza di Noemi. E poi l’altro segno di speranza è quel: quando cominciava a mietere l’orzo. Il momento della mietitura è il momento della maturità. Don Roberto ha scritto un libro che si intitola il canto sottile del fieno maturo. La sofferenza se condivisa con gli amici diventa maturità della vita, diventa fieno, orzo maturo. Da qui si può ripartire. Certo non si riparte da soli, ma insieme con altri. La salvezza contro il fallimento della vita, contro l’amarezza è un fatto di amicizia e di comunità, non un fatto di forza e di volontà della persona afflitta.
preghiamo
Preghiamo per la chiesa, perché possa essere più compagna di viaggio per gli uomini e le donne che soffrono.
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.
La decisione di Rut pone fine all’insistenza di Noemi. Ormai il loro destino è segnato da una vicinanza e prossimità che farà nascere una nuova famiglia, da cui discenderà lo stesso Gesù. Noemi era partita piena ed è tornata vuota. Un vuoto che non è solo morte, ma spazio per una vita nuova, più generosa e feconda. Il dolore di Noemi, la sorpresa delle donne del paese, la presenza silenziosa ma intelligente di Rut sono contorni di una nuova storia di salvezza. Il Signore salva cos’, dentro queste cose che si succedono, che accadono. Preghiamo per chi sente la perdita come vuoto sterile, affinché possa vedere la fecondità di un nuovo orizzonte.
Ci sono condizioni di vuoto necessario terreno perché venga colmato di altra vita. La mia vedovanza ha aperto un mondo di relazioni intessute di amore ed amicizia inimmaginabile. Il dolore e l’amarezza allora hanno un loro perché nella vita. Forse s o lo l’accettare una volontà difficile ed incomprensibile apre il cuore e prepara lo spirito a nuove speranze. Speranze di vita, come la mietitura che porta lavoro ed alimento per molti.
Prego per le speranze di molti esseri umani segnati dall’amarezza ed in viaggio verso mietiture generose e nuove forme di vita dignitosa.
Buona giornata a tutti. Elena
Buonasera,
Vorrei solo una preghiera x tutti questi profughi che oltre l accoglienza ,, trovino finalmente l’amore Carità x se stessi e x gl i altri….