la maria grande

di | 30 Ottobre 2020

Suor Alessandra Smerilli direbbe che siamo diventati analfabeti della cura. Abbiamo perso le parole e i gesti per curare, per avere attenzione verso l’altro. Perché questo? La Smerilli ha una sua teoria affascinante che cerco di descrivere attraverso la figura della Maria grande. Mia madre, Margherita, era rimasta orfana da piccola di mamma, colpita da una forma di influenza. Mio nonno non aveva i soldi per comprare la penicilina e mia nonna volo in cielo presto. Una mia zia si prese a carico anche la famiglia di mio nonno, mia mamma, i suoi fratelli. Una specie di famiglia allargata prima ancora che le famiglie allargate facessero irruzione nella società. Poi arrivammo noi figli, i figli degli altri zii e alla fine in casa eravamo in 12. Mia madre da sola non ce la faceva a fare tutto. E allora fece irruzione in casa, in maniera discreta, ma decisa la Maria grande, per distinguerla da una mia cugina che era la Maria piccola. Non era la domestica di casa, non era la baby sitter di noi ragazzi. era semplicemente la Maria grande. Arrivava in bici la mattina, ci vestiva e ci inviava a scuola. Non ci ha mai portato una volta la cartella! Questo era nostro compito. Poi con mia mamma ci preparava da mangiare per quando tornavamo da scuola e a turno la Maria grande e la mamma Margherita ci facevano fare i compiti. Ogni tanto mi portava a dormire a casa sua. Le prime confidenze dei miei disastri quotidiani le facevo alla Maria grande che poi lei mediava con mia mamma. Avevo trovato una buona sponda. Almeno così pensavo. Ed invece lei non era alleata dei miei disastri, ma, pur riconoscendo tutti i miei casini quotidiani, era capace di smorzare i toni. Gli uomini la sera tornavano dal lavoro e subito mi prendeva l’ansia per la relazione quotidiana di mia mamma: il Sandro ha fatto questo, questo e questo. E così dopo il rosario serale del nonno comunista attorno alla stufa, scattava il coprifuoco del castigo quotidiano. Niente tv in inverno, niente uscita serale d’estate e tutti a letto. e non so quante volte è successo. Mi mancava la Maria grande in quel momento, magari con lei un’uscita serale riuscivo a portarla a casa. Lei si è presa cura di noi fino quando siamo diventati grandi. Insieme a mia mamma sono state le due donne che mi hanno tirato grande. Lei conosceva bene l’alfabeto della cura, non aveva fatto nessun corso, ma sapeva ascoltare; aveva fatto la 5 elementare ma sapeva prendersi cura dell’anima e del corpo delle nostre giovani vite. Quando la Maria grande non è più venuta alla nostra casa ci sono rimasto un sacco male. Non ho mai capito perché. Le decisioni spettavano ai grandi e a noi ragazzi non veniva mai chiesto un parere, ci sono rimasto male. Da quel momento si è occupata della sua famiglia, dell’oratorio e delle missioni. io comunque andava empre a trovarla. Insomma si è sempre prese cura di qualcuno.  Adesso è in paradiso e si prende cura di noi in un modo che faccio fatica a capire, ma so che è sempre presente.  È vero, il prendersi cura è sempre stato al femminile. Il lavoro era invece  al maschile e la cosa seria era ed è il lavoro e non la cura. Così della cura ne abbiamo perso un po’ traccia, ne abbiamo perso il linguaggio. Grazie a tutte le donne che si sono prese cura della vita umana. questa è la teoria della Smerilli. la cura era ed è al femminile,che non dovrebbe essere così. E la cura è cosa meno seria del lavoro, forse legato alla buona volontà di un infinità di Marie grandi. La prima domanda che facciamo ad una persona dopo quella sul nome è di che cosa ti occupi, che lavoro fai. La Maria grande non mi chiedeva se avevo fatto tutti i compiti, ma come stavo. A pochi viene in mente di chiedere di chi ti prendi cura, perché ci sembra troppo banale. La Maria grande era orgogliosa di prendersi cura di noi e di aver appreso molto bene l’alfabeto della cura.

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