Quando l’incompiutezza, la fragilità e l’errore non viene vissuto come parte integrante della vita allora si va incontro ad una forma di onnipotenza che nel più piccolo e nel migliore dei casi si traduce semplicemente in una volontà di non ammettere mai l’errore e di dare sempre la colpa agli altri, nel peggiore dei casi si traduce in violenza e volontà di sopraffare l’altro, perché vedo nell’altro un impedimento ai miei sogni di gloria. Non guardo a come sto io, ma vado a riversare sull’altro, possibilmente il più debole, la mia incapacità, la mia incompiutezza. Forse uno dei motivi delle guerre e di questa guerra risiede anche in questo fatto: l’incapacità di riconoscere il limite mi porta ad un delirio di onnipotenza che si traduce in violenza cieca. È forse il motivo più labile, più piccolo che porta un uomo a non fermarsi nella sua violenza. Certo i motivi politici, economici e di altro tipo sono sicuramente più importanti, ma c’è anche questo motivo: l’incapacità di riconoscere il mio limite mi porta a gettare addosso all’altro la colpa del mio mancato successo. Integrare incompiutezza e fragilità dentro un percorso di maturità è fondamentale per non scadere nella violenza. È come se ci venisse chiesto di tornare a casa, al nostro cuore, alla nostra vita così come è. Ma un ritorno a casa, un ritorno continuo al nostro cuore non è poi così sempre scontato. Si può tornare a casa o ci si può perdere del tutto. Per tornare a casa dobbiamo sentire la nostalgia della casa, la nostalgia del padre, dobbiamo poter dire: torno a casa, ritorno al mio cuore, nel profondo del mio cuore. Ritorno a guardare e ad amare la mia incompiutezza. Forse per accogliere fragilità e incompiutezza non dobbiamo pensare di stare nella terra promessa, ma di rimanere nel deserto, nella condizione non del definitivo, ma del cammino. Ma di questo parleremo domani