Dopo le riflessioni sulla guerra e sul conflitto non mi è risultato difficile fare il passaggio al dolore. Oserei dire il dolore innocente. E sì, perché la guerra provoca un dolore innocente, il dolore di chi inerme, innocente e indifeso, subisce i danni più grandi della guerra. E subito mi è venuto in mente il Giobbe biblico, il Giobbe del dolore innocente che chiama in causa Dio per chiedere spiegazioni circa il suo dolore. E subito mi è venuta in mente l’opera d’arte di Georges de La Tour, Giobbe. Dipinto nel 1630. Non avevo mai pensato e osservato le opere di questo artista fino a quando qualcuno mi ha fatto notare la luce che le sue opere emanano. Ed è stato illuminante, ed è stata l’occasione per dare un occhio alle sue opere. Egli dipinge in un tempo di guerra e di violenza della Francia. Prima pittore di corte e poi artista della gente, forse nelle sue ombre e luci riflette il dolore della violenza e della fatica umana, ma anche il riscatto e la speranza di tale umanità. Il Giobbe di La Tuor rappresenta un attimo particolare del racconto biblico: la moglie che deride Giobbe sofferente. Il testo biblico dice: Allora sua moglie disse: “Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!”. [10] Ma egli le rispose: “Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?”. In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra. Se guardo il quadro vedo questa donna che dall’alto in basso deride il povero Giobbe malato. Ha un vestito sontuoso, mentre Giobbe è nudo, seduto su uno sgabello. La donna avvicina una candela a Giobbe per vedere la sua condizione pietosa e poi spara la sentenza: rimani fermo ancora nella tua integrità? Mi pare di sentire: perché Dio mi hai fatto questo, perché non mi dai un segno, perché non mi guarisci. E se tutto questo non succede io non credo più. Non è sempre così, ci sono persone che dal dolore traggono vita e fede. Ma a volte succede anche questo. La donna mi sembra proprio il simbolo di chi deride l’uomo che rimane nella fede nel momento del dolore. Qui la compassione lascia il passo alla recriminazione; la misericordia si deforma in lamentela e persino in disprezzo. E Giobbe guarda con uno sguardo misero, che cerca pietà, vicinanza, comprensione. Il dolore non sempre genera compassione, ma pietismo, se non disprezzo. Quando la vista del dolore arriva a generare solo derisione e curiosità, come nella moglie di Giobbe, l’umanità ha toccato il fondo. L’altro giorno una donna si è data fuoco mi pare a Crema e la maggior parte della gente ha pensato bene di fare un filmatino da far girare in rete. Solo pochi si sono fermati a soccorre la donna. Sì, oggi voglio sottolineare come il dolore e la sofferenza non sempre generano compassione e vicinanza, ma ripulsione e curiosità. Penso ai tanti morti in mare, alle tante persone sole, ai tanti morti per fame, per violenza. Trovano una generica solidarietà per qualche giorno e poi… penso ai tanti morti e malati del tempo del Covid. Ed ora? Sì, vedo tanta solidarietà, ma è sufficiente per vincere il dolore e questo tempo di fatica? La candela che tiene tra le mani la moglie di Giobbe, qui non illumina il dolore, ma illumina la derisione per un corpo disfatto come è quello di Giobbe. Torneremo ancora sul dolore di Giobbe. Per il momento fermiamoci qui. Quando ero giovane parroco un anziano mi disse: ma lei non va a trovare i malati. Io facevo la teoria del dolore, ma scansavo il dolore altrui, ci sono voluti anni per mettere in pratica quelle parole. e la vicenda di Don Roberto mi ha insegnato ad avere più che mai compassione del dolore. Oggi non riesco ad andare a visitare tutti i malati, ma nel mio quotidiano provo ad accogliere il soffrire umano.
È un quadro di grande intensità, questo di La Tour, com’è intensa la nostra miseria di ammalati, nello stesso modo lo sguardo di chi non prova compassione. L’ammalato ha bisogno di tutto, qui lo si vede bene. Soprattutto della nostra umanità e del nostro rispetto, della nostra presenza, del nostro esserci silenzioso. Ho seguito tante persone ammalate, parenti, amici. La tenerezza, ecco cosa chiedono…e la nostra compassione, il nostro amore incondizionato.
Nel correre frenetico di ogni giorno è difficile trovare tempo per avere compassione, per stare vicino. Insegnami Signore a non aver paura a perdere tempo, a fermarmi, a scendere dal treno dell’indifferenza, della superiorità.
Il dolore non è buono, mai. E’ faticoso, disgustoso. Perché il dolore rimanda inesorabilmente al pensiero della morte. E ni non amiamo morire, né fisicamente, né simbolicamente. Ma col dolore bisogna convivere, per non disperarsi fino a buttare via la vita. E stare accanto a chi soffre non è cosa che si improvvisa. E’ un’arte del cuore, una educazione al rispetto e alla compassione dignitosa e sincera. Ci perdonino i malati che a volte visitiamo pensando di fare un’opera di misericordia, mentre cadiamo in una vanità scocca.
Il Signore Gesù coi malati non ha fatto visite di cortesia: li ha guardati, chiamati per nome, toccati, guariti.
Condivido e concordo i vostri preziosi commenti ,e che stare accanto a chi soffre è un ‘arte del cuore ….per ogni dolore c’è un modo di stare accanto che solo alla scuola di Gesù posso imparare …c’è un frase dei nostri fondatori che vorrei ricordare più spesso a me stessa e mi è comunque molto cara e non vivrò mai abbastanza “Adopera tutti quei modi che la carità di Cristo ti insegnerà ” Ci aiuti il Signore ad accogliere il soffrire umano …
La malattia…il dolore che sta nella malattia mi spaventano anche perché mi sento molto incapace di gestire la situazione. Ho imparato nell’assistere i miei genitori malati di Alzheimer che se non “accetti” la malattia in se’ non riuscirai ad affrontarla e avere quella vicinanza di compassione, carità e misericordia nei confronti del malato che ti accompagneranno e ti daranno un nuovo senso della vita.