Verso sera esco di casa per aspettare il camion che ci porta le piastrelle per la casa di Rosciano. E mi accorgo che fa freddo. La stagione primaverile non inizia, fa davvero freddo. L’orto è stato fresato e preparato. Ma tutto è fermo. Freddo e secco. Dobbiamo solo attendere. Sinceramente comincio a perdere la pazienza. Guardo il cielo, il sole è tramontato, qualche stella fa capolino nel cielo, vedo la scia di un aeroplano e subito penso agli arei che sorvolano l’Ucraina, non sono certo innocui come quello che vedo io nel cielo di Rosciano. Sono fortunato mi dico. Ma fa freddo, e allora entro in casa. Mi segue il gatto faraone. E poi inizio a pensare. Per ogni guerra di questi ultimi anni avevo sempre trovato un segno, un qualcosa che simbolicamente mi aiutava a ricordare la follia della guerra. Per la guerra in Bosnia e l’assedio di Sarajevo tengo come ricordo una lettera testimonianza di tonino Bello, il vescovo che era andato in pellegrinaggio di pace nella città martoriata dalla violenza. Diceva così in una sua battuta: “sono entrato a Sarajevo commosso come a Gerusalemme.” Per i grandi sbarchi a Lampedusa di quelli che fuggivano dalla guerra in Africa, conservo un pezzo di legno azzurro che è un pezzetto di uno scafo di una nave affondata. Un amico mi ha regalato tanti pezzi di legno di queste navi, ne abbiamo fatto delle croci, a me è rimasto un pezzetto di legno. Per la guerra in Iraq conservo una foto invitata da kirkuk da amici monaci. È il resto di un presepio distrutto. Una foto che mi narra della violenza distruttrice. Della guerra in Siria ho il ricordo del sapone di Aleppo che ho regalato ai miei parrocchiani nella messa di mezzanotte a Blello. Tutti questi oggetti sono il segno di un epoca segnata dalla guerra. Loro mi ricordano la barbaria umana. E di questa guerra? Non trovo niente. Ho cercato tra tanti racconti, tra foto viste sui giornali e su internet; ho scrutato i tanti messaggi degli amici di questi tempi. Ma niente, non c’è niente che posso conservare come segno di questa guerra. È enigmatica, violenta, assurda, ti tiene sulle spine giorno dopo giorno. Intanto che penso a queste cose c’è sempre il freddo che entra nelle pelle nella sera di Rosciano. E improvvisamente il freddo diventa il segno di questa guerra. La neve per le strade delle città bombardate, i carri armati fredde macchine da guerra, le gente che fugge con cappotti, guanti e sciarpe ma so che hanno freddo ancora. E poi il freddo della notte con i bombardamenti in corso in attesa del giorno. Sì il freddo è il segno di questa guerra. Freddo nel cuore di tanti uomini e donne. Freddo di ghiaccio per chi guida la guerra, freddo di paura per chi subisce la guerra. Ci sarà forse una primavera?