Il bello del generare viene con questa parola. forse non è quella che amo di più, ma è quella che sento addosso con maggiore intensità. Non è quella che amo di più perché è di difficile fedeltà, è soggetta alla mia incostanza. E quindi la temo come una delle prove della mia vita. Ma è quella che sento di più perché capisco che la generatività si gioca proprio qui, in questo atto. Da questa parola prendo atto di una cosa che in apparenza sembra essere marginale: quando si ama e si mette al mondo una vita vi è come una grande contraddizione, o meglio tensione tra paura e gioia. La paura di non farcela, la paura di non essere adeguati, la paura insomma. Ma contemporaneamente la gioia, la gioia della bellezza del mettere al mondo, la gioia che è la gioia dell’altro che nasce. Insomma la gioia. Si ama e si teme insieme di amare. Questa parola che è per me decisiva, più ancora del mettere al mondo è cura. La terza parola del verbo generare è prendersi cura. Conosco due canzoni che parlano della cura. La prima di Battiato: “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via…. E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te.” E poi la seconda di Cristicchi: Adesso chiudi dolcemente gli occhi e stammi ad ascoltare… Perché tutto è un miracolo, tutto quello che vedi E non esiste un altro giorno che sia uguale a ieri… Abbi cura di me Abbi cura di me, Il tempo ti cambia fuori, l’amore ti cambia dentro, Basta mettersi al fianco invece di stare al centro…L’amore è l’unica strada, è l’unico motore. La prima è la cura dell’altro, la seconda è il prendersi cura di me. Io con tutta sincerità sono portato verso la cura dell’altro, ma amo di più che qualcuno si prenda cura di me. Ma tutte e due sono due atti di amore. Non basta desiderare, non basta mettere al mondo, ma dobbiamo far sì che l’opera d’arte che abbiamo messo al mondo possa durare nel tempo. Qui da noi è stata trapiantata una rosa. Ha messo le prime foglie e siamo tutti contenti. Ma oggi guardando, uno mi dice sta morendo.. io rispondo: hai posto il problema male, la domanda giusta: chi se ne prende cura? Chi pone quelle condizioni quotidiane perchè una rosa possa vivere? Hannan Arendt diceva che l’azione è fatta di dare un inizio e poi di far durare. L’inizio è sempre molto esaltante: nasce un bimbo che grande gioia; però il far durare nel tempo, tirar su un figlio è fondamentale, senza questa capacità l’inizio muore. Di inizio in inizio senza far crescere è un fare che salta di qua e di là senza dare frutto. Vi è come un imperativo morale oggi: prendersi cura, dare forma agli inizi, al mettere al mondo. L’imperativo morale è la legge fondamentale da rispettare e da mettere in atto. Prima l’imperativo morale erano i dieci comandamenti e basta, oggi i dieci comandamenti vanno declinati secondo la parola prendersi cura. Il prendersi cura vale per ogni campo, per ogni tempo, per ogni razza, religione, cultura. Esiste un prendersi cura poco sano che quello dello stare addosso all’altro, dell’asfissia della cura, del prendersi cura che imprigiona l’altro nei nostri schemi. Esiste anche un prendersi cura superficiale, che va a momenti, che inizia un’opera ma non la finisce mai. Esiste infine un prendersi cura bello, vero, efficace. È quel prendersi cura che è vicinanza buona, ma discreta, che rimprovera, ma che ama nel rimprovero. È il prendersi cura che finisce le cose finite bene, che c’è sul pezzo, che ama donando. Ecco perché temo il prendersi cura, perché svela la mia incostanza, la mia imprecisione, la mia superficialità. Eppure sento di essere profondamente attratto da questa cura, perché la ritengo la parola del futuro, la parola di un mondo nuovo, la parola di chi genera amando.
Molto profonda la riflessione sul prendersi cura. Non che non lo siano anche le altre ma questa mi tocca in particolar modo perché alla base del mio lavoro c’è la cura, il prendersi cura dei piccoli. E se da un lato è vero che sono perennemente abbassata alla loro altezza e che mi devo abbassare in continuazione, vista la loro altezza fisica, dall’altro c’è in loro una misteriosa, meravigliosa “altezza/grandezza”che mi chiede di innalzarmi o quantomeno di provarci per arrivare almeno a sfiorarla la loro anima. E quando si riesce non c’è che da restarne meravigliati, rendere Grazie e continuare su questa strada, quella che mi fa dire che anche nella giornata più faticosa loro riescono a donarmi gratuitamente una gioia, che non è mai scontata o banale, data proprio dal loro essere piccoli/grandi.
Grazie per aver parlato di cura e per come sei riuscito a farlo. Con molta umiltà e verità di cuore
Copio le ultime due righe del commento precedente per dire grazie di cuore …..Non basta desiderare di prendersi cura ,la si vive nel modo bello e non si è mai imparato abbastanza ,e serve in tutti i campi…si desidera e si teme ,corrisponde al vero Bene,e all’amore vero.