L’officina è un luogo dove si traffica, dove si smonta e dove si costruisce, dove si impara. Ero affascinato quando ero al patronato ed entravo nell’officina del mio amico Combi. Tutto era predisposto per insegnare, trafficare, accompagnare i ragazzi a diventare dei buoni meccanici e dei buoni uomini. Ma c’è un binomio che mi attira di più ancora. È un’officina unica dove si traffica in previsione della pienezza della vita. E’ l’officina del cuore dove si uniscono il trafficare dei sentimenti, del lavoro, della preghiera. Tutto è in movimento, tutto è luogo di costruzione, di progettazione, di edificazione. Preghiera, lavoro, ragione, sentimenti formano quella grande e unica officina dove il discepolo impara dal maestro l’arte di vivere e di essere saggio. Il lavoro è chiaro che è un’ officio, un’officina, un luogo di lavoro. Ma la preghiera? Non è forse anch’essa un’officina, un luogo dove si impara a trafficare con Dio? E i sentimenti non sono un’officina dove si impara a gestire il cuore con tutti i suoi subbugli? Nella Regola che Benedetto redige per i suoi monaci troviamo scritto: «L’ozio è nemico dell’anima, e perciò i fratelli in determinate ore devono essere occupati in lavori manuali, in altre nella lettura divina». Francesco sceglie per sé e per i suoi frati il lavoro come mezzo ordinario di sostentamento e afferma: «Voglio che tutti i frati lavorino». Tutto è officina indirizzato a quella finalità che è l’incontro con Dio, l’edificazione del creato e la passione per l’uomo. Il lavoro non è solo fonte di reddito, ma è anzitutto luogo che, al pari della preghiera, contribuisce alla ricerca della saggezza della persona. Tutto è traffico, tutto è officina, tutto serve per essere l’apprendista che impara dal maestro, che ruba il mestiere al maestro. Io sono l’officina della mia vita, io sono l’apprendista che imparo l’arte di vivere. Io sono quell’officina che si muove in un perenne lavorio sulla mia persona.