Devo iniziare questo commento alla parabola del buon samaritano, ma rimando ancora di un giorno per due motivi. Primo perché non ho avuto tempo in questi giorni per approfondire la questione. Secondo, perché oggi mi ha colpito alla messa che celebro tutte le mattine la prima lettura che è stata letta. Ad un certo punto dice così: Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Aràba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina». In pratica il profeta Ezechiele immagina, sogna che dal santuario del tempio di Gerusalemme possa uscire un fiume che è navigabile in tutto il deserto e che sulle sue sponde possa fiorire e crescere ogni genere di pianta e ortaggio. Non avevo mai letto questo racconti in chiave contemporanea. Dai nostri santuari naturali che sono le nostre montagne non esce più acqua, le sorgenti sono sempre più secche e a valle non crescono più piante e orti. Abbiamo rovinato il grande santuario che è il creato e ci ritroviamo con la nostra madre terra secca. Che cosa fare? Credo che dobbiamo uscire dai grandi discorsi teorici e mettere in atto azioni semplici e concrete. Un primo esempio: costituire gruppi che iniziano a fare cose molto pratiche, lo ripeto molto pratiche per riprendere tra le mani la cura del santuario che è il nostro creato. anche la chiesa deve fare uno sforzo grandioso per uscire dai dibattiti e fare cose concrete.