Questa è l’ultima delle opere di misericordia corporale, poi ci sono quelle spirituali. ma di quelle vedremo. Ha sbagliato paghi. Frase tipica di non conosce il carcere. O forse frase tipica di chi pensa che esiste solo la giustizia della pena. Ad una azione cattiva, una giusta pena, un giusto castigo. Se poi l’azione è molto cattiva oltre a finire in carcere, buttiamo via anche la chiave. Non ho mai creduto in questo tipo di giustizia. Ho sempre ritenuto che uno spazio di “recupero” possa esistere per ogni persona. Una giustizia non solo penale, ma rieducativa. Poi ho incontrato la giustizia riparativa e questo paradigma della giustizia è cambiato ancora. non solo penale, non solo rieducativa, ma anche riparativa, cioè che cerca di riparare creando le condizioni di un incontro tra reo e vittima. Non sto a spiegare che cosa è la giustizia riparativa, mi interessa invece pensare che può essere il paradigma giusto per entrare nel mondo della giustizia e delle carceri. Mediazione e giustizia riparativa è soprattutto favorire un incontro. La figura del mediatore permette di far incontrare due individui a un livello superiore di quello della ragione o dei sentimenti e delle emozioni, in una dimensione diversa e più elevata: l’anima. Si arriva al cuore di una ferita, si impara ad ascoltare una ferita e si cerca di cambiare insieme prospettiva. Ritengo che il carcere è sbagliato quando è solo un luogo dove scontare la pena, anche se la pena va riconosciuta. Può avere senso se tenta di attivare percorsi di riparazione e di reinserimento sociale, diventa esperienza sensata quando si arriva ad un riconoscimento dell’umano che è in ciascuno di noi. Il reato non riguarda solo chi è in carcere, ma riguarda tutti, coinvolge chi sta dentro e chi sta fuori il carcere. Non sono un buonista, ma sono per la ricerca dell’umano che sta in ogni persona. visitare i carcerati non è un’opera di assistenza, ma un luogo ed un momento di incontro. Da questo incontro e dall’ascolto del dolore può nascere qualcosa di grande e di umano. questo sforzo di ascolto del dolore va orientato in una direzione che non può essere quella dell’odio perché nel tempo, si capisce che la prigione dell’odio consuma la vita di una persona e di una comunità intera. Senza restituirle nulla. Va invece orientato verso un incontro, non necessariamente un perdono cristiano, che è un’altra cosa. «La forza della giustizia riparativa è nel perdono, inteso nel recupero della relazione che si era abbandonata senza che ciò neghi l’esistenza del reato che l’ha interrotta», scrive Gherardo Colombo ex magistrato italiano nel suo libro “Il perdono responsabile”.