vestire gli ignudi

di | 18 Febbraio 2021

vestire gli ignudi. Così dice questa opera di misericordia. Raccolgo vestiti, coperte e altro genere di vestiario da anni. Fino a poco tempo riuscivo a regalare a chi ne aveva bisogno tutti i vestiti. Anche io a volte trovo qualcosa di buono per me. Oggi è tutto più difficile, ed anche il buon triciclo che prendeva  i vestiti che mi mandavano gli amici, oggi è in difficoltà. Non ne capisco la ragione. Ma sembra che il vestito usato e da riciclare non è molto di moda. Ricordo i miei vestiti da ragazzo che quando arrivavano a me erano almeno già al secondo o terzo passaggio. Forse anche il vestito è segno del mondo che viviamo. E la moda con tutte le sue sfilate fa diventare il vestito un semplice oggetto di consumo. Ma questa opera di misericordia è strana. voglio tentare di suggerire qualche condizione per dare significato al gesto di condividere gli abiti con i poveri che da sempre le nostre chiese hanno trasformato in precise operazioni di raccolta indumenti. La prima considerazione è che questo tipo di raccolte non ci devono far cadere nell’illusione di poter sgravare la nostra coscienza. Sia perché svuotare i nostri armadi sempre troppo pieni di vestiti non può essere troppo facilmente contrabbandato come carità, sia perché molto spesso il valore delle raccolte coi cassonetti ha piuttosto un valore di tipo sociale nel senso di offrire opportunità di lavoro a persone variamente svantaggiate. L’opera del vestire gli ignudi si attua in modo autentico solo quando scaturisce da un incontro tra due volti, tra due sguardi, quello di chi dona e quello di chi riceve. Solo così viene salvato dal rischio di essere gesto umiliante: quando diventa incontro con l’altro, quando riesce a salvaguardare l’individualità, l’identità di ciascuno. Nella tradizione cristiana occidentale il gesto di vestire chi è nudo è espresso, in modo a tutti noto, dall’episodio in cui Martino di Tours taglia il proprio mantello per farne parte ad un povero indifeso contro i rigori di un gelido inverno. Nella Vita di san Martino di Tours viene scritto che con quel gesto «l’uno prende una parte del freddo, l’altro prende una parte del tepore, fra ambedue i poveri è diviso il calore e il freddo, il freddo e il calore diventano un nuovo soggetto di scambio e una sola povertà è sufficiente divisa a due persone. Non esistono benefattori e beneficati, ma ricercatori e ricercatrici di possibilità di vita giuste per tutti

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