Che resto può rimanere di tutta quanta l’acqua che è caduta in questi giorni. E quando parlo di resto intendo che cosa resterà di buono sulle piante di ciliegie, sulle piante di prugna, sugli ortaggi che stanno nell’orto. Che cosa resterà di buono negli alveari dopo tutta questa acqua e freddo di questi giorni? Che cosa resterà di buono dopo il passaggio di una guerra, di una ingiustizia, di un dolore? Che cosa resterà di bello di tutto questo? un segno, una speranza, un canto di gioia? Non lo so bene che cosa resterà dopo un passaggio così duro nella vita, nella storia, nella madre terra. sono prove impegnative che lasciano il segno. Il salmo degli esiliati ci dice una cosa originale riguardo a che cosa resta. Resta un piccolo resto, una porzione di uomini e di donne che escono salve dall’esilio dopo averlo attraversato tutto. Qualcuno forse si è perso, qualcuno ha rinunciato a vivere, qualcuno ha pensato bene di rassegnarsi. Ma un piccolo resto è rimasto. Lo immagino così: è un piccolo resto che ha saputo riprendere in mano quelle cetre ormai mute appese ai salici e ha ripreso a cantare i canti di Gerusalemme, i canti della luce dei miei occhi come dicevano gli ebrei in esilio quando volevano parlare della loro città lontana. Forse questo piccolo resto ha nel cuore ancora la ferita dell’esilio e forse quella ferita non passerà mai. Ma quel piccolo resto si convince che è giunto il momento di prendere in mano la cetra e si convince che deve tornare a cantare. Forse un piccolo resto di api, di ciliegie, di orto non si rassegnerà a tutta questa acqua e troverà la forza per rifiorire, per ricomporsi e cambiare registro. Quel canto che canterà il piccolo resto sarà un canto in memoria di Gerusalemme, ma sarà un canto nuovo. Porterà infatti la ferita dell’esilio insieme al ricordo della città santa. Forse il piccolo resto che riprenderà in mano la cetra per cantare dopo che sarà passata la furia della guerra canterà un canto nuovo. Sarà il canto della memoria della propria casa distrutta, del dolore che sta nel cuore che però sarà come rivisitato da note e parole nuove e di speranza. Rimarrà il segno, rimarrà la ferita, ma sarà come coperta della bellezza di un sogno di un mondo nuovo. Questo farà il piccolo resto. Concedimi Signore di riprendere in mano la cetra che ho ha appeso ad un ramo e di tornare a cantare un canto nuovo. Un canto che è mescolamento di ferita, dolore, e speranza.