È l’ultima delle nostre opere di misericordia. Da domani riprenderemo i racconti nell’orto e dintorni. Chi ha pensato a queste opere ha lasciato per ultima questa idea di pregare per i vivi e i morti. È un po’ come la preghiera di intercessione. O forse è proprio la preghiera di intercessione. Per chi non è credente forse si può parlare di ricordo, di memoria. Comunque in ogni caso siamo come invitati a ricordare vivi e morti. Ma forse questa è anche l’unica opera che presuppone un credo religioso. Tutte le altre opere indicano un atteggiamento realistico e “laico”: di fronte alle componenti brutte dell’esistenza umana, bisogna sporcarsi le mani. Di fronte a un corpo e a una vita che soffre, qualunque sia la ragione, devo fare qualcosa, perché quel corpo funziona come il mio, quella vita vale quanto la mia, e star male non piace a nessuno. Ma alla fine dell’elenco, quand’anche fossimo così bravi, attenti e sensibili da riuscire a presidiare le innumerevoli situazioni di povertà e di disagio, dobbiamo riconoscere il nostro limite e l’eccedenza della sofferenza nel mondo rispetto alla sovrabbondanza della misericordia che le opere mettono in circolo. Non possiamo fare tutte le opere. Conosciamo il nostro limite, la nostra fragilità. Questa opera di pregare è come un’opera di affidamento. io dico così: cerco di dare il meglio di me stesso, cerco di mettere in atto le azioni migliori per alleviare la sofferenza umana e per vincere l’ingiustizia, ma alla fine affido tutto il mio sforzo e tutte le persone che incontro, a Dio Padre. lui può fare qualcosa di meglio e superare tutte le mie fragilità. O forse è meglio dire che grazie alle mie fragilità, se affidate a Lui, proprio Lui può fare grandi cose. Allora, il senso bello di questa ultima opera è quello di avvolgere i tanti gesti di misericordia in una relazione stabile con quel Dio che si presenta fin dall’A.T. come “clemente e misericordioso”, capace di “ascoltare il grido dei poveri” al quale consegnare il poco che riusciamo a metter in gioco affinché sia lui a moltiplicarlo. Pregare Dio per i vivi e per i morti diventa un’opera di misericordia per noi, bisognosi di essere salvati duplice rischio di una superbia narcisistica che ci fa ritenere i salvatori del mondo, e da quello di una depressione rinunciataria che si affaccia non appena il nostro egoismo e comunque i nostri limiti ci espongono alla bruciante constatazione della nostra inadeguatezza. È importante sapere che non siamo soli nell’esercizio della misericordia e che in Dio abbiamo un alleato formidabile. “Per i vivi e per i morti” dice la nostra opera. Un binomio che sta ad indicare totalità, che la misericordia se è vera non tollera esclusioni. La misericordia è “l’incendio del cuore per ogni creatura, uomini e uccelli e animali e per i demoni e tutto quel che è …” scriveva un antico Padre d’oriente, Isacco di Ninive. Una prospettiva che mette in luce la meschinità di quanti – pur dichiarandosi orgogliosamente cristiani – hanno introdotto in questi anni la logica del “prima i nostri”. “Vivi e morti” dice la nostra opera, senza graduatorie che non siano dettate dall’urgenza del bisogno.
Quante opere di misericordia si possono fare, a ricordo, lode e gloria della più Grande Misericordia, quella che il Padre ci dona instancabilmente e dalla quale attingono le nostre piccole opere quotidiane.
Che il Signore non smetta mai di istruirci in questo, e attraverso l’esempio di Suo figlio, l’Amato da ascoltare, ci ispiri ogni giorno.
Grazie Don Alessandro per avercele ricordate e spiegate, perché sinceramente alcune proprio non le conoscevo.