Giobbe 2,11-3,26
Tre amici di Giobbe vennero a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz di Teman, Bildad di Suach e Sofar di Naamà, e si accordarono per andare a condividere il suo dolore e a consolarlo. 12 Alzarono gli occhi da lontano, ma non lo riconobbero. Levarono la loro voce e si misero a piangere. Ognuno si stracciò il mantello e lanciò polvere verso il cielo sul proprio capo. 13 Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti. Nessuno gli rivolgeva una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore. Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il suo giorno. 2 Prese a dire:
3 “Perisca il giorno in cui nacqui
e la notte in cui si disse: “È stato concepito un maschio!”.
4 Quel giorno divenga tenebra,
non se ne curi Dio dall’alto,
né brilli mai su di esso la luce.
5 Lo rivendichino la tenebra e l’ombra della morte,
gli si stenda sopra una nube
e lo renda spaventoso l’oscurarsi del giorno!
6 Quella notte se la prenda il buio,
non si aggiunga ai giorni dell’anno,
non entri nel conto dei mesi.
7 Ecco, quella notte sia sterile,
e non entri giubilo in essa.
8 La maledicano quelli che imprecano il giorno,
che sono pronti a evocare Leviatàn.
9 Si oscurino le stelle della sua alba,
aspetti la luce e non venga
né veda le palpebre dell’aurora,
10 poiché non mi chiuse il varco del grembo materno,
e non nascose l’affanno agli occhi miei!
11 Perché non sono morto fin dal seno di mia madre
e non spirai appena uscito dal grembo?
12 Perché due ginocchia mi hanno accolto,
e due mammelle mi allattarono?
13 Così, ora giacerei e avrei pace,
dormirei e troverei riposo
14 con i re e i governanti della terra,
che ricostruiscono per sé le rovine,
15 e con i prìncipi, che posseggono oro
e riempiono le case d’argento.
16 Oppure, come aborto nascosto, più non sarei,
o come i bambini che non hanno visto la luce.
17 Là i malvagi cessano di agitarsi,
e chi è sfinito trova riposo.
18 Anche i prigionieri hanno pace,
non odono più la voce dell’aguzzino.
19 Il piccolo e il grande là sono uguali,
e lo schiavo è libero dai suoi padroni.
20 Perché dare la luce a un infelice
e la vita a chi ha amarezza nel cuore,
21 a quelli che aspettano la morte e non viene,
che la cercano più di un tesoro,
22 che godono fino a esultare
e gioiscono quando trovano una tomba,
23 a un uomo, la cui via è nascosta
e che Dio ha sbarrato da ogni parte?
24 Perché al posto del pane viene la mia sofferenza
e si riversa come acqua il mio grido,
25 perché ciò che temevo mi è sopraggiunto,
quello che mi spaventava è venuto su di me.
26 Non ho tranquillità, non ho requie,
non ho riposo ed è venuto il tormento!”.
Commento
Arrivano gli amici di Giobbe. In teoria dovrebbero essere quelli che danno consolazione a quell’uomo disperato. In realtà si riveleranno come coloro che cercheranno un motivo da attribuire a Giobbe riguardo a tutto il male che gli è capitato addosso. Secondo la più raffinata teologia, la più raffinata teoria della retribuzione Giobbe deve aver combinato qualcosa per cui si trova in questa situazione. Vedremo come si svilupperà questo pensiero degli amici che sembrano addirittura saperne di più di Dio sul dolore e sulla sofferenza. Intanto Giobbe inizia la sua supplica, la sua preghiera disperata a Dio. Disperata perché addirittura sembra maledire il giorno in cui è nato. Una preghiera di un uomo che non trova più tranquillità, pace; a lui rimane solo tormento e paura. Qui sta un primo aspetto della grandezza di Giobbe: non cerca attenuanti, non cerca spiegazioni, non vuole consolazioni banali. Egli innalza il suo grido direttamente a Dio e a lui grida tutta la sua angoscia. Giobbe è preghiera viva, nuda, come nuda è la terra su cui è adagiato. Il dolore non lo si affronta solo cercando spiegazioni, ma buttandolo come invocazione nelle mani di Dio. Nella sua preghiera Giobbe non maledice Dio, ma cerca verità da Dio, cerca la giusta consolazione per il suo dolore. È vero e schietto Giobbe di fronte a Dio, ma non è mai contro Dio. Dio inizialmente rimane muto di fronte a Giobbe, poi parlerà. Sembra che non ci sia relazione tra Dio e Giobbe, sembra quasi che Giobbe è come abbandonato a se stesso, ma lui rimane fedele e grida il suo dolore proprio a quel Dio che rimane in silenzio.
Preghiamo
Preghiamo per tutti i poveri
Le grida dei poveri, degli ammalati, dei disperati, degli esclusi del mondo arrivano dritti allo spirito di Dio. Ci arrivano nudi e crudi, così com’è l’essere umano senza filtri, nudo e crudo nel suo dolore, nella sua disperazione. Possa lo spirito del Signore misericordioso accoglierne tutto il peso e lenire con la sua presenza ogni sofferenza, là dove noi, altri esseri umani e amici non riusciamo ad arrivare perché siamo troppo piccoli di fronte al dolore altrui….
Rimanere in silenzio partecipando alla sofferenza dei poveri che invocano Dio, rimanere nel mistero con il loro grido… Gridando anche noi con fiducia e pregando.