Guardo Mounir che scava la fossa che gli antichi contadini qui a Rosciano usavano per fare il compost. Dopo anni che è piena di sterpaglie e di sassi la vogliamo riportare in vita perché torni ad essere la vasca del letame, o come diciamo noi del compost. E il letame è la vita per l’orto. Mi ero letto tutto un libro proprio su questa faccenda del compost. Esso sta all’inizio dei lavori dell’orto; sono i lavori autunnali. De Andrè canterebbe: Dai diamanti non nasce niente. Dal letame nascono i fior. C’è sempre un qualcosa che sta all’inizio di una fioritura, di una vita, di una scelta. Oso chiamare questo inizio vocazione, anche se capisco che il paragone con il letame non è il meglio che ci sia. Ma serve un inizio. Per Geremia il racconto della sua vocazione sta proprio all’inizio del libro. E questo inizio è segnato da un incontro – scontro con una parola, che ha reso fertile la vita dell’uomo Geremia. Una vocazione profondamente umana nata da una parola chiara, iniziale, una parola che, se accolta nella sua forza, segna un percorso,. Eccolo il racconto “Prima di formarti nell’utero materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni”. Risposi: “Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono un ragazzo”. (…) Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e mi disse: “Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare”» (Geremia 1,4-10). C’è un particolare che sta all’inizio della sua storia: Geremia non è di Gerusalemme, ma come uno straniero arrivato a Gerusalemme. Suo padre era sacerdote di un tempio antico che Salomone aveva fatto chiudere, di conseguenza Geremia vive la condizione dello scartato. Insomma quando la parola iniziale, quella che feconda la vita di Geremia, arriva addosso a lui, questo uomo sente tutto il peso della sua marginalità: come potrò io andare a dire parole che sono parole di Dio, là nel tempio di Gerusalemme ? Quando Geremia racconta questi fatti è ormai nel pieno della sua attività profetica, quello che racconta è una memoria di un tempo passato, di quando era giovane. Io mi ricordo che all’inizio della mia scelta ero carico di entusiasmo, di paure, di incoscienza. Oggi dopo tanti anni sento che devo riflettere bene su chi sono e cosa faccio. Un conto è l’inizio, un conto è il tempo che scorre. L’inizio è carico di sogni, il tempo presente si fa più riflessivo. Quando si incontra la voce, ci si ritrova dentro un evento globale e luminosissimo: si ode, si vede (“che cosa vedi Geremia?”: 1,11), si è toccati nel corpo (“sulla tua bocca”). Si parte, si va, si vive. Ma per capire che cosa è accaduto in quell’evento occorre l’intera esistenza, e in genere non è sufficiente. E il capire nel tempo non è sempre lineare. A volte sono come dei passaggi coerenti con la scelta iniziale, altre volte vedo che prendo altre strade, poi ritorno sul sentiero maestro. Non c’è niente di lineare in tutto quello che ho fatto dall’inizio alla fine. Certo, come Geremia, ho cercato di essere fedele alla parola che ha fecondato la mia vita, ma la mia coerenza non è stata la mia perfezione, ma il ritornare alla parola iniziale ogni volta che uscivo di strada. Una parola, la scrittura sacra ha fecondato all’inizio la mia vita; da quella parola ogni tanto fuggo via, ma un attrazione fatale mi riporta lì a quella parola iniziale.