Se dico la parola fraternità penso subito ai fratelli e alle sorelle. L’altro pensiero che arriva immediatamente è che fraternità è nome di una realtà buona, bella. Essere fratelli è cosa buona. Ma so bene che non è così. Essere fratelli e sorelle è una cosa, essere fratelli e sorelle è sempre una cosa buona questo è un altro problema, infatti non sempre i rapporti tra fratelli e sorelle è sempre buono, anzi tante volte, troppe volte è conflittuale. Noi facciamo così abbiniamo a parola belle un valore bello, quindi se quella parola è positiva allora tutto deve essere positivo, se quella parola è negativa tutto deve essere negativo. Io penso invece che è la storia e la vicenda quotidiana che permette di dare valore positivo o negativo ad una parola. In sé fraternità è neutra nel suo valore. Da come io vivo questa parola essa assume significato positivo o negativo. La fraternità non è una parola semplice. Perché le fraternità sono molte, e non sono tutte né buone né cristiane. Ci sono sempre state persone e comunità che in nome delle loro fraternità hanno scartato e umiliato donne e uomini che non rientravano in quella loro fraternità, che per chiamare alcuni fratelli hanno offeso e ucciso i nonfratelli. Questo è importante averlo ben chiaro nella mente per poter definire come vivere la fraternità. Ritengo che una delle centrature più importanti della parola fraternità è quella che pone al centro le vittime delle ingiustizie. Loro sono i miei fratelli e le mie sorelle. Perché dico questo? Perché siamo troppo abituati a guardare il mondo vicino e lontano partendo dalla costatazione di chi è il vincente, di chi è il più meritevole, di chi è più capace. Vorremmo questi come miei fratelli. Guardare la fraternità dal punto di vista della vittima offre un altro sguardo. Mi ha stupito una lettera di una mamma inglese che ha una bambina down e che scrive una lettera al dottore che le aveva proposto l’aborto. Ne riporto alcune righe. Non entro in merito alla questione aborto, non è quello l’oggetto della mia riflessione, mi interessa invece come la mamma guarda la fraternità nella famiglia partendo dallo sguardo della figlia down “Sono triste che si sia sbagliato così tanto nel dirci che una figlia con sindrome di Down avrebbe abbassato la qualità della nostra vita. Ma soprattutto sono triste che lei non avrà mai il privilegio di conoscere Emersyn. Perché, vede, Emersyn non solo ha migliorato la qualità della nostra vita, ma ha toccato il cuore di migliaia di persone. Ci ha dato uno scopo e una gioia impossibili da esprimere a parole. Ci ha donato sorrisi più grandi, più risate, e i baci più dolci che ci verranno mai dati. Ci ha fatto capire cosa sono la vera bellezza e l’amore puro». Quando guardo la mia dolce Emersyn mi rendo conto che siamo semplicemente benedetti oltre ogni immaginazione». Forse dobbiamo imparare a guardare la fraternità dal punto di vista di Emersyn e della sua famiglia. Con grande rispetto per le scelte di ciascuno.