Ho citato l’idea di un sogno di comunità diffusa. Cosa intendo? Intendo una comunità che sta sul territorio, che forse non ha nemmeno bisogno di una sede, di uno spazio. Sono qui in casa, esco per una telefonata, incontro un gruppo di ragazzi, li faccio entrare in casa e iniziamo a parlare. Per la verità parlo troppo io. Una comunità diffusa prevede di lasciar parlare, anzi di raccogliere le parole di tutti. Avevo voglia di ascoltarli tutti questi ragazzi, di dire loro che è bello essere fratelli che si aiutano. Così è la comunità diffusa. Il tempo dell’incontro è stato poco e tutto è avvenuto per caso. Ritengo che da un incontro veloce posso trarre insegnamenti per quanto riguarda la comunità diffusa. Un primo insegnamento: si tratta di pensare a spazi liberi, spazi dove ciascuno mette il suo dono. In apparenza sembra qualcosa di impalpabile, eppure anche solo favorire un incontro è già fare comunità. La concretezza sta nel fatto che si apre una porta, che ci si siede e ci si racconta. Questa è già comunità diffusa. In un tempo prossimo della mia vita vorrei avere la possibilità di essere qui per aprire la porta, lasciare entrare la gente e ascoltare e dialogare. La casa dove sono entrati i giovani non è la sede di una struttura che crea rete, ma è la sede della cooperativa, eppure basta poco per farla diventare la casa che diffusamente apre le porte. Certo ci vuole qualcuno che, come nei vecchi monasteri fa da foresterario, colui che accoglie il forestiero, da maestro degli ospiti, facendo diventare sacra l’accoglienza. forse don Roberto è stato un grande maestro di ospitalità. Questo è un primo passo per creare comunità diffuse. Si può anche formalizzare la collaborazione tra vari enti; posso pensare ad una collaborazione formalizzata con i giovani che sono passati per casa ieri. Ma come prima cosa devono trovare un maestro degli ospiti. Io non sono maestro degli ospiti, non ho l’arte e il dono di rendere sacra l’ospitalità, ma so che questo è il primo passo. Leggo dalla parola sacra un testo dove Abramo è maestro dell’ospitalità. Ecco alcune delle parole che descrivono la sacralità dell’incontro: “Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: “Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. 5Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo”. Quelli dissero: “Fa’ pure come hai detto”. Vide passare, si prostrò a terra, un po’ d’acqua, un boccone di pane. Ecco l’inizio di una comunità diffusa.