L’ultima parola del verbo generare è lasciare andare, ma siccome l’abbiamo già commentata la lasciamo andare. mi soffermo comunque ancora sul generare. Parto da questa considerazione. Io don Sandro, vivo dei miei fallimenti, con i miei fallimenti, vivo quasi in previsione di un fallimento. ne ho una collezione infinita in bacheca di fallimenti. Ma dal fallimento rinasco, per poi fallire ancora e rinascere ancora. Io genero così la mia vita. Sono il fallimento che rinasce. Prima non riuscivo a concepire di fallire, mi arrabbiavo con me, con tutti, con l’universo. i miei genitori mi aveva insegnato ad essere bravo. Oggi sul fallimento ho uno sguardo sereno e vivo. Certo, quando il fallimento arriva, che botta, che delusione, che depressione, che rabbia. Ma poi riesco a tirarmi insieme e a ripartire. Mi sono detto che non costruisco sulle vittorie, ma sui fallimenti. Le mie medaglie non sono i primi posti e i primati, ma il fallimento fatto carne. Guardate che non esagero. E non cerco comprensione. Chi di noi non ha fallito nella vita? Fallire è come sbagliare il bersaglio, fuori mira del tutto. A proposito del generare, noi siamo una generazione che è cresciuta abituata a sentirsi dire, devi dare il meglio di te stesso, devi meritare la bici, la moto, la macchina, la casa, la morosa, il primo posto al lavoro. poi i genitori smentendo tutto, la bici e la moto te la regalano quasi subito. Ti regalo la moto se mi prometti che studi. E il furbone di adolescente promettere mari, monti e altro ancora, anche di andare a messa la domenica. Arrivata la moto….. credo che la trappola in cui siamo finiti e che alla fine ci incastra in un generare vuoto è che non abbiamo abituato i nostri figli al fallimento, ma all’eccellenza. Eccellenza o sei tutto o sei niente. Tuo fratello è diplomato, tu no. Quel prete è eccezionale tu non fai niente per i giovani. Quello può vantare due lauree e un master in America, l’ha sempre sognata l’America. E allora visto che dietro ci sono anche gli altri figli, per non farli sentire da meno ecco che si fanno tutti i corsi del mondo per essere eccellenti come quello che ha fatto il master. Quello ha un bel corpo, quella sa cucinare alla masterchef . devi essere tutto, eccellente, o tutto o niente. Il vero esperto di educazione non dovrebbe essere bravo perché insegna ad essere tutto, ma diventa bravo quando genera al fallimento. perché poi quando il fallimento arriva, l’eccellente pedagogo non sa più cosa fare, l’eccellente prete si perde, l’eccellente famiglia si disfa, l’eccellente figlio si chiude o si arrabbia con il mondo. Il fallimento mi ha insegnato una cosa preziosa nella vita: non sono eccellente, non sono tutto. Chi sono allora? Figlio amato che vive la sua vita cercando il meglio e che rinasce nel suo fallire quotidiano. La rinascita qui non è la rivincita, ma la consapevolezza che io non vivo di eccellenze, di rivincite, di rivalse, ma vivo e basta. quando arriva il fallimento sento su di me come delle ferite. E le ferite non me le devo solo leccare, non devo cercare la rivincita, ma devo curarle, lasciarmi curare ben sapendo che le ferite rimangono, ma che possono diventare segni dorati nella mia vita, nel mio corpo. Leggevamo fino a qualche mese fa dell’eccellenza della sanità lombarda, ci illudevamo che sapeva tutto, che risolveva tutto. E poi è ci siamo accorti della sua piccolezza e fragilità, del suo fallimento. Chi ha in mano questa sanità riuscirà a rinascere se prima avrà il coraggio di riconoscere il suo fallimento e allora potrà rinascere. E gli altri non si devono accanire contro il fallimento, ma unire le forze per rinascere nella cura. Io sono il mio fallimento, mi guardo le ferite e riparto, sostenuto dalla grazia del Signore e della vicinanza di amici che mi curano le ferite come dei buoni samaritani
Dalla mia povera esperienza mi son resa conto che il fallimento è inutile solo se non si ama la vita.