dono alterato

di | 19 Luglio 2023

Provo ad approfondire un poco e leggo del famoso memorandum tra Italia, Europa e Tunisia. Capisco una cosa: che si vuol far diventare l’Europa una fortezza che difenda i suoi confini da ogni ingresso indesiderato e l’Italia il ponte levatoio che si apre e si chiude a secondo delle circostanze, dove per indesiderato è solo legato alla forza lavoro. Se serve lavoro si apre il ponte levatoio della fortezza, se non serve, il ponte rimane chiuso. Non leggo niente invece sulla questione dei diritti umanitari. Sappiamo bene come la Tunisia oggi respinge coloro che non sono graditi in mezzo al deserto senza nessuna assistenza e protezione con il rischio di una morte quasi certa. Non si dice niente di tutto questo. Mi sembra più un accordo commerciale che un accordo umanitario. Sappiamo anche un’altra cosa: che la Tunisia in caso di respingimenti si riprenderà solo i suoi, cioè i tunisini e gli altri che ne facciamo? Io so per certo anche un’altra cosa: che se la rotta dalla Tunisia all’Italia si bloccherà ci sarà un’altra rotta e poi noi andremo a fare un nuovo memorandum e poi così via dicendo. Questo è il dono alterato della fraternità falsata che viene spacciata come grande umanità. perché è un dono alterato? Primo, perché noi parliamo di poveri  e di povertà, ci facciamo su dei bei discorsi senza mai mettere mai i poveri al centro; devono stare fuori le mura della città. Si parla di un interessato che non è mai fatto sedere a tavola. L’oggetto del discorso, dei memorandum, dei trattati sono loro, i poveri ma non sono mai seduti ad un tavolo a trattare. Si sta al centro di trattati, di discorsi e di pensieri, ma non si realizza mai il loro pieno riscatto. Serve un padre dei poveri, un fratello che ripristini la fraternità alterata, che riscatti il debole. Serve uno che dica quel povero lo riscatto io, me ne prendo cura io. E poi se vogliamo ripristinare il dono alterato della fraternità dobbiamo fare dei conti diversi, dobbiamo uscire da quell’economia del prendere, del quanto guadagno. Ci serve un’altra economia, l’economia del dono.

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