Apro le cassette delle api per la prima ispezione dopo l’inverno insieme a Francesco. A parte due inconvenienti di due famiglie di api che sono morte e un’altra un po’ debole che uniamo con un’altra famiglia, il resto tutto bene. Si dice buona la covata, molta la scorta di miele. Guardo come si muove Francesco, con la sola maschera, senza guanti e senza tuta. Io sono tutto bardato. Io un po’ di paura ce l’ho e quindi mi copro bene per evitare di essere punto. Io mi muovo con attenzione e paura, lui si muove con cura e distacco. Esiste un distacco che fa male. È quello della famiglia che si scioglie, di un’amicizia che finisce, di una guerra che pone distanze tra parenti e amici. Alcuni arrivano da noi, altri rimangono al loro paese. A volte si accordano per capire chi deve partire e chi deve rimanere, altre volte tutto avviene di corsa e allora non c’è tempo per niente, si fugge e si rimane. E le distanze si fanno sentire. E quando arrivano a casa nostra l’unica salvezza per accorciare le distanze è un cellulare, per sentire come va a casa. Quanto li critichiamo i poveri profughi soprattutto gli africani, perché hanno tutti il cellulare. Forse è l’unico mezzo rimasto per ridurre le distanze. E poi esiste una distanza positiva. Con le api è buona cosa tenere non una distanza fisica, perché di fatto le mani devono entrare nella casa delle api. Con loro Sono un po’ invasore? Può essere… ma la vera distanza da tenere con loro è quella emotiva. Non posso far percepire che sono pauroso, che lavoro male, che mi arrabbio se le cose vanno male. Io non sono capace di tenere la giusta distanza emotiva quando incontro l’altro. Sto pensando alla guerra di questi giorni, forse da parte nostra ci vuole la giusta distanza emotiva per riflettere con serietà su tutto quello che sta succedendo, forse ci vuole la giusta distanza emotiva per prendere decisioni giuste e sagge. Ma non mi piace la parola giusta distanza emotiva. In mediazione abbiamo un’altra espressione, sicuramente più efficace: equivicinanza. Vicino alle mie api con la giusta misura, come Francesco che era equivicino. Vicino al popolo ucraino, ma con un equivicinanza rispetto a tutto quello che succede nel mondo
Equivicinanza per me è una parola nuova. Non l’avevo mai sentita. È una parola importante e carica di grande significato. Essere equivicini non vuol dire essere equidistanti: il primo per me ha un valore forte che esprime empatia, cosa che non trovo nel secondo termine. Tuttavia mi è difficile capire quando occorre essere equidistante e quando essere equivicini. In ogni situazione drammatica, di sofferenza, di pericolo stare equivicini o equidistanti non è semplice. Occorre equilibrio, secondo me lo si può vivere solo insieme in una dimensione condivisa. Amen