b come banale

di | 2 Aprile 2022

È forse banale abbinare alla lettera b la parola banale. Forse ci voleva qualcosa di più serio, di più strutturato. Eppure non è banale parlare in queste poche righe della banalità. Vedo banalità di ogni tipo. Vedo la banalità di ridurre tutto ad un marchio che rende bene e quindi bisogna tenerlo alto. Vedo la banalità dei luoghi comuni e delle frasi ad effetto, del tipo da adesso in avanti non faremo più un accoglienza che è assistenzialismo, ma che nasce da un progetto. Banalità perché poi ci prende il desiderio di fare tanto bene e allora si incomincia a fare assistenza. E potrei continuare ad elencare una quantità enorme di banalità. Ma mi fermo qui. Forse l’idea di abbinare alla lettera b la parola banale nasce dl fatto che sto rileggendo il libro la banalità del male di Anna Arendt e allora mi fa pensare alla parola banalità che non credo che si tratti si una qualità morale: è un tipo banale. A. Arendt abbina la banalità del male ad un tratto particolare dell’animo umano, dell’uomo in generale. Una persona può fare del male senza essere malvagia? Era questa la complessa domanda che assillava la filosofa Hannah Arendt mentre, nel 1961, seguiva per il New Yorker il processo per crimini di guerra ad Adolf Eichmann, il funzionario nazista responsabile di aver organizzato il trasporto di milioni di ebrei – e non solo – nei campi di concentramento per la Soluzione Finale. Arendt pensava che Eichmann fosse un burocrate ordinario, se non addirittura noioso. Uno che, stando alle sue parole, non era “né perverso, né sadico”, ma “spaventosamente normale”. Egli non agì per nessun altro motivo se non per assicurarsi diligentemente di far  avanzare la propria carriera nella burocrazia nazista. Ne La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), il libro che risultò dallo studio della filosofa sul caso, Arendt arrivò a concludere che non si potesse parlare di Eichmann come di un mostro senza morale. Egli fu un uomo che compì azioni orribili, ma senza cattive intenzioni, solo per “incoscienza”, per un distacco dalla realtà malvagia dei suoi atti. Eichmann “non capì mai cosa stava facendo” a causa della sua “inabilità a pensare dal punto di vista di qualcun altro”. Mancando di questa particolare abilità cognitiva, “commise i suoi crimini in circostanze che gli resero quasi impossibile capire o sentire cosa stesse facendo di male”. Ecco che cosa è la banalità: l’incapacità di pensare ad un mondo al di fuori di sé stessi. La banalità di  chi esegue il suo compito in nome dello stato e della chiesa senza errori, senza sussulti di dignità, senza una critica e un obiezione. Che paura che mi fanno questo tipo di persone, quelle che eseguono  e fanno senza mettere anima in quello che dicono e fanno. La banalità del superficiale, dell’inetto; un uomo che va dove tira il vento. Questo è l’uomo banale. Ecco perché ho messo b come banalità perché dobbiamo uscire da questa banalità del dovere e del cavalcare  l’onda di chi ha successo

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