ANCORA COSE DA PRETE

di | 24 Novembre 2020

ieri so di aver fatto un sacco di cose una diversa dall’altra.  Amministrazione, ascolto, lavoro nell’orto, preparare il pranzo di mezzogiorno, incontri in remoto, messa, preghiera e altro ancora. non sono stanco fisicamente, forse lo sono mentalmente perché mi risulta difficile tenere insieme tutte queste cose una diversa dall’altra. Ci sono tante persone che mi aiutano, ma in qualche modo io devo esserci più o meno sempre, magari non con una presenza sempre fisica, sul posto, ma sicuramente con una presenza che coinvolge la mente. Anche in cooperativa diciamo che è un periodo che ci stiamo aiutando abbastanza tutti insieme, stiamo facendo squadra. La questione che  mi pongo è una di quelle che in apparenza non ha grandi risposte, perché tale questione che andrò a dire adesso si nutre della sua stessa contraddizione. Quante volte nelle riunioni tra noi preti  sento dire questa affermazione: il prete deve cercare le cose essenziali, quelle che appartengono al suo ministero, quelle che fanno la sua vita, le altre vanno lasciate ai laici. E qui è la prima contraddizione: è come se le cose che fa il prete hanno un certo valore, quelle dei laici un po’ meno. L’economia per esempio va lasciata ai laici. Vero, sono d’accordo. Ma in nome di questa essenzialità delle cose che fa il prete, egli rischia di ritirarsi nelle cose del sacro e della catechesi e tutto il resto delle vicende del mondo non lo riguardano. Le cose del mondo sembrano non essenziali per un prete. L’orto? Non fa parte della pastorale. Non è tra le cose essenziali della vita del prete. Preparare un pranzo non è essenziale e lo delego ad altri. Fare le pulizie non è essenziale e lo delego ad altri e via dicendo. E qui emergere la grande contaddizione del fare le cose essenziali. Che cosa è essenziale nella vita di noi preti? Diciamo che siamo costretti ad interessarci di tutto perché nessuno se ne interessa. Io la vedo diversamente. Come prima cosa noi deleghiamo ma dobbiamo controllare tutto. Eccola la contraddizione: delega con controllo finale. Faccio un esempio di questi giorni: lavoro per un’associazione che ha preparato un documento da presentare ai soci. Non era essenziale che lo scrivessi io e quindi è stato scritto da altri. La contraddizione  finale  sta nella tentazione di correggere e di mettere il mio cappello finale sul testo perché io delego, ma io controllo. Ho scelto un’altra strada. Lascio che siano altri a fare le correzioni, al massimo io posso mettere la mia correzione e poi faremo insieme la presentazione del documento. Esso deve essere non delegato nella sua scrittura, ma  controllato e vidimato dal prete. Così questa lettera di presentazione è diventata un fatto corale dell’associazione.  Cerco l’essenziale, ma devo controllare tutto, anche come si fa il caffè. Io non ho qualcosa di essenziale su cui puntare la mia attenzione. Provo a dirlo così: ho un paio di pilastri che fanno da fondamento: la parola, la preghiera, la cura delle persone e su questo faccio girare il resto. Tutto mi interessa. Se è necessario sapere di economia per la cura delle persone lo faccio. Se è necessario preparare un pranzo per sederci ad un tavolo per stare un po’ insieme dopo il lavoro, lo faccio, non lo delego ad altri. Se è necessario sapere di educazione per il bene delle persone lo faccio. Tutto mi interessa per la cura delle persone e della mia vita spirituale. Che cosa è essenziale? tutto e niente. Ma tutto deve avere il tono della coralità, della comunionalità. Il tutto non è lasciar fare e controllare che tutto funzioni bene. Il tutto è un noi armonico che cresce insieme dove io metto la mia parte e condivido la mia parte con altri. Che cosa è essenziale nel prete? La comunionalità, non la delega con controllo finale.

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