Susanna mi ha girato questa foto di Rosciano, fatte al momento del tramonto. Uno spettacolo di colori. Non so perché, ma ho collegato questa foto e il tramonto giallo, rosso e fuoco a mio nonno. Forse perché mi caricava sulla vecchia bici e mi portava in giro a farmi conoscere i campi, la natura, il treno che usciva dallo stabilimento della Dalmine carico di tubi, che mi faceva un’impressione vederlo venir fuori da un cancello. Ma era soprattutto quando si fermava e mi faceva scendere dalla bici che iniziava la parte migliore della passeggiata. Mi faceva vedere la roggia, il mulino e il lavatoio dove con mia mamma andavo a lavare i panni, il prato, la rubina, il gelso, e tutto il resto. E poi attaccava con una delle sue storie. Erano le storie della sua vita. Erano sempre quelle, una decina più o meno. E ritornavano ciclicamente. Io le ascoltavo e non mi annoiavo. Quella che mi affascinava di più era quella del fiume Brembo che forse ben si adatta ai nostri giorni. I nostri giorni difficili, con la pandemia, con i disordini sociali che ci sono in giro, con tutte le nostre paure, con il bisogno di cura e di vicinanza che ci manca così tanto. La storia comunque era più o meno così. Mio nonno era un partigiano. A Dalmine era arrivato il momento della liberazione. Mio nonno mi raccontava che l’aria che tirava non era bella. Provate ad immaginare questo racconto in bergamasco, che per mio nonno era la lingua ufficiale non perché era leghista e ci teneva alle tradizioni, ma era comunista e rosso e ci teneva alla giustizia. I fascisti che fino a quel momento avevano comandato e perseguitato tutti quelli che non la pensavano come loro erano caduti in disgrazia. Mio nonno mi raccontava sempre in bergamasco che c’erano anche gli amici dei fascisti che erano caduti in disgrazia. Diceva: rischiava di finire male, rischiava di finire che i perseguitati del fascismo potevano diventare i nuovi persecutori, vi era come un desiderio di vendetta per tutto il male subito e il dolore provocato per una guerra. Un giorno mio nonno viene chiamato da un gruppo di persone perché “giù” al fiume Brembo stava succedendo un disastro. Un gruppo di partigiani e di persone aveva preso, legato un gruppo di fascisti ed erano pronti per la fucilazione sommaria. Mio nonno corse subito e fermò la tragedia. Quando diceva questa cosa lo diceva con orgoglio. Sentenziava così al termine della storia: non ci serviva vendetta sommaria, ma una giustizia vera, una riconciliazione tra le parti. Perché solo così avremmo avuto un tempo di pace vero e giusto per tutti. Quando finiva la storia prendeva la sua bici, mi ci caricava sopra e tornavamo a casa, lui orgoglioso del suo desiderio di pace e di riconciliazione sociale; io orgoglioso di un nonno che aveva fermato i partigiani desiderosi di vendetta. La lezione sulla riconciliazione sociale riuscii a capirla solo da grande, grazie alla mediazione. Non è che oggi abbiamo bisogno di un nonno che ci racconti storie di questo tipo? Perché la storia che stiamo vivendo ha bisogno di verità e riconciliazione e non verità e giustizia.