Ci siamo lasciati con quella figura o parola un po’ nostalgica che era lasciare. Ci siamo detti che è l’ultima parola declinabile del verbo generare. E allora mi sono detto: partiamo dalla prima e vediamo che cosa succede. Per essere onesto fino in fondo devo dichiarare che questi spunti li ho trovate nelle bellissime riflessioni dei coniugi Chiara Giaccardi e Mauro Magatti. Prima di parlare della prima parola del verbo generare, voglio lasciare questo straordinario pensiero di Maria Zambrano: “l’amore si è andato trovando senza spazio vitale che lo incoraggiasse………..come l’essere possibile che non può realizzarsi, privo dell’amore che genera.” È vero mi guardo in giro e vedo tanta tecnica, tanta buona volontà, tanti propositi, ma manca a volte la passione d’amore per generare queste idee e progetti, manca l’assunzione di responsabilità per arrivare in fondo al percorso di vita scelto, manca lo spazio vitale su cui innestare i sogni e i progetti. Sogno, ma non costruisco, progetto, ma il progetto rimane sulla carta. Una nuova economia, un nuovo stile di vita, una chiesa nuova. E poi mi rifugio nel vecchio perché sono solo un sognatore. La parola generare richiede a me don Sandro atti concreti, proposte responsabili e fattibili. Il resto oggi mi avanza. Un bell’orto, grande, che fa effetto su chi ci viene a trovare e dice che bravi che siete, che belle cose che fate non mi interessa più. Che davvero so che non lo posso curare al meglio. Verrà anche per me il tempo delle 1000 piante da frutta come qualcuno mi ha detto ieri, ma oggi non reggo il colpo di 100 piante. Sognare 1000 piante per poi lasciarle andare mestamente alla deriva perché non sono in grado di curarle, meglio lasciar perdere. Manca lo spazio vitale della cura quotidiana, dell’amore che è passione, del costante lavoro, del giorno dopo giorno. Questo non è generare. Qui mi inserisco con il primo verbo della generatività: desiderare. Per me è un po’ una parola di difficile applicazione. Innanzi tutto perché mi sembra che il desiderio è come ingabbiato dentro quella parola affascinate, ma ambigua che è mi piace. Il desiderio è ben più grande del mi piace. Anche io sono così quando vedo che una cosa mi affascina, dico che mi piace, mi prende a tal punto che perdo l’orientamento nelle cose che faccio. Mi piace e allora vedo solo quella cosa, quel progetto, del quotidiano mi disinteresso. Mi piacciono le api e allora mi serve tutto per le api e mi dimentico dell’orto. Mi piace l’orto e mi dimentico delle api. E poi in me il desiderio si confonde con aspettativa. nascondo le aspettative dietro la parola desiderio. Desidero che tutto possa procedere bene, desidero dall’altro che mi possa dare una mano, desidero che l’altro mi ami. in realtà queste sono solo aspettative. e quando le aspettative sono deluse, mi sento tradito. Aspettative e desiderio sono due cose distinte, diverse. Il desiderio invece è quella spinta che mi chiede di andare sempre oltre la mia vita. Non cerco l’oggetto del mio desiderio, il mio progetto, la mia macchina, il mio sogno, ma cerco un orizzonte di senso su cui camminare. Desidero un oltre, non una cosa o un persona. Anche qui quanto ho da imparare; io desidero oggetti, cose, persone, io sono invitato a cercare ogni giorno orizzonti di senso e su quell’orizzonte collocare amore, passione e responsabilità. Che la mia vita possa dare spazio vitale all’amore di crescere e di arrivare a pienezza perché imparo a desiderare non l’oggetto ma l’oltre
Desiderare è già possedere. Così mi insegnavano nella formazione inziale. Se desideri essere santa è già un passo verso la santità. Penso sia vero, dato che i desideri non li compio io, ma la vita e Qualcuno che è origine dalla vita. Coltiviamo desideri e la vita ci verrà incontro.