Ger 51,34-40
34 “Mi ha divorata, mi ha consumata Nabucodònosor, re di Babilonia, mi ha ridotta come un vaso vuoto, mi ha inghiottita come fa il coccodrillo, ha riempito il suo ventre, dai miei luoghi deliziosi, mi ha scacciata. 35 Il mio strazio e la mia sventura ricadano su Babilonia!” dice la popolazione di Sion, “il mio sangue sugli abitanti della Caldea!” dice Gerusalemme. 36 Perciò così parla il Signore: “Ecco io difendo la tua causa, compio la tua vendetta; prosciugherò il suo mare, disseccherò le sue sorgenti. 37 Babilonia diventerà un cumulo di rovine, un rifugio di sciacalli, un oggetto di stupore e di scherno, senza abitanti. 38 Essi ruggiscono insieme come leoncelli, rugghiano come cuccioli di una leonessa. 39 Con veleno preparerò loro una bevanda, li inebrierò perché si stordiscano e si addormentino in un sonno perenne, per non svegliarsi mai più. Parola del Signore. 40 Li farò scendere al macello come agnelli, come montoni insieme con i capri”.
Commento
Continuo in queste brevi conclusioni di Geremia. Mi pare che un tema significativo è quello che chiamerei della fine. Anche Babilonia la grande, la potente conosce una sua fine. Tutto il creato conosce un tempo di inizio e di fine. Ma Geremia utilizza questo tema per dire qualcosa di originale. L’ostinazione di Gerusalemme nell’abbandono del Signore, rappresentata in maniera emblematica dall’indurimento del cuore, conduce progressivamente a un giudizio senza appello, che si attuerà nell’assedio e nella conquista di Gerusalemme. La fine, prima annunciata dal profeta, poi realizzata per mano di Nabucodonosor nel 587, pervade il libro dall’inizio alla sua conclusione, determinando una serie di sfumature cupe e un certo tono pessimista, identificato – talvolta troppo sbrigativamente – come la caratteristica distintiva dell’intero testo; non crediamo sia questo il senso del tema. Il libro di Geremia attesta di molte «fini»: la fine dell’arca; la fine del tempio; la fine dell’intercessione; la fine dell’elezione e dell’alleanza; la fine della casa davidica e da ultimo la fine della città santa, fino alla fine delle nazioni. La sequenza interminabile e quasi ossessiva del tema indica che la fine non può essere intesa in senso storicistico, dal momento che nessuna è – per così dire – conclusiva: se il lettore ha più volte l’impressione di essere davanti ad una chiusura, il testo lo costringe immediatamente a ricredersi, dal momento che prosegue ogni volta aprendosi a un oltre. Così il termine a cui si giunge non è mai l’ultima parola, proprio perché si passa da una fine all’altra, rimanendo misteriosamente vivi pur nella distruzione patita. Sembra quasi che questo spingersi di fine in fine segna un nuovo inizio, una nuova alleanza. Il libro di Geremia non è cupo e drammatico, ma nella sua drammaticità si apre alla novità, alla vita nuova.
Preghiamo
Preghiamo per tutti i cercatori di Dio.
Difficile questa lettura di Geremia. Anche se descrive qualcosa di attuale sembra sempre emergere il tono oscuro della disfatta. Lo Spirito ci doni sapienza per imparare dalla storia e ci liberi dalla presunzione fine essere migliori dei nostri antenati.
È vero. La fine non è mai solamente una fine. È l’inizio di qualcos’altro, di un tempo, di una storia, di un ricordo, di una scelta, di un nuovo cammino. Il Signore, nell’amarci fino alla fine, non smette di farci attraversare nuove vie. Se queste saranno opportunità o meno, forse dipenderà da noi, ma ci sono altri modi da scoprire, da sperimentare, nei quali osare mettere piede, testa, cuore. Il perdono non passa forse da qui?
Preghiamo per chi cerca Dio in ogni piega della vita e per chi perdona ed è perdonato.