Non si fa silenzio tanto per fare silenzio, si fa silenzio per affinare un’altra qualità della vita: l’arte di ascoltare. Solo nel silenzio interiore imparo a sentire l’altro, compreso il mondo, la terra, la vita, il soffrire umano. Ho trovato questo pensiero di un monaco del deserto che si chiamava Abba Poemen: “Vi sono coloro che sembrano far silenzio, ma il loro cuore condanna gli altri. Queste persone parlano continuamente. Chi, viceversa, parla dal mattino alla sera e conserva il silenzio perché non dice niente che non sia una utilità spirituale”. Allora questa è la vera questione: silenzio, parola e ascolto non devono mai stare uno contrapposto all’altro. non può funzionare che se c’è parola non c’è silenzio e ascolto; oppure se c’è silenzio non c’è parola e ascolto e se c’è ascolto non c’è parola e silenzio. Sono tre elementi, che se messi in relazione tra loro, alla fine permettono una relazione e una comunicazione efficace. Il silenzio favorisce l’intimità dell’incontro con l’altro e con la parola sacra, l’ascolto favorisce la capacità di porre nel proprio cuore le parole e i gesti dell’altro, la parola favorisce e nutre la comunione fraterna, la relazione buona e attenta con l’altro che mi sta di fronte. Ma tutte e tre devono camminare insieme. Possiamo dire che la giusta misura tra silenzio, ascolto e parola è la carità. Rompere il silenzio dell’altro, imporgli parole superficiali, incitarlo a lamentarsi o a criticare, è altrettanto dannoso delle parole di impazienza o di collera. Al contrario, certi silenzi, espressione dell’aggressività verso gli altri o di ripiegamento su di sé, escludono dalla fraternità, quando un sorriso o un gesto silenzioso possono essere sufficienti a manifestare il rispetto e l’affetto. Credo che mi devo impegnare di più in silenzio, ascolto e parola, per vivere meglio la fraternità con il mondo intero.