Viviamo in società, siamo esseri sociali, forse è questo che ci distingue da tutto il resto del creato. O forse non è nemmeno questo. In fin dei conti anche fiori, piante, animali fanno società, sono essere socievoli. E allora giro il problema, guardo la questione da un altro punto di vista. Forse è meglio dire che cosa ci permette di essere e di fare società? Che cosa ci permette di fare in modo che un’esperienza possa in qualche modo dichiararsi sociale? Fare il sociale? Costruire esseri sociali? Domande impegnative che nemmeno l’orto, le api e tutto il resto che gira qui intorno riescono a chiarire. Però qualche suggerimento mi arriva proprio dalle api. Loro fanno società e lo fanno fino allo sfinimento. Non c’è un’ape che sta lì tranquilla e sfrutta il lavoro degli altri. E allora fare sociale, essere sociale vuol dire prima di tutto giocarsi fino in fondo, vuol dire esserci in prima persona e fidarsi dell’altro. Esserci in prima persona significa anche prendere in mano idealità sociali e dare forma a queste idealità, senza preclusione e con fiducia. Iniziatori di piccole e grandi attività dove risalta in qualche modo l’essere sociale. Le mi api sono radicate nel loro alveare, se sposti la loro casa perdono l’orientamento. Siamo così anche noi: quando voliamo di qua e di là alla fine perdiamo l’orientamento e non facciamo più società, è come un magma che si muove ma non sa dove va. Ho imparato che ci vuole radicamento per essere sociale. Passa la gente vede una porta aperta e ci entra e chiede e fai società. Però bisogna essere radicati e tenere le porte aperte. Essere sociale richiede anche solo un po’, o meglio molta apertura mentale, fisica, apertura di fiducia. Ma sono aperto nella misura in cui ci sono. Le api mi permettono di aprire la loro casa e se ci guardo dentro con gentilezza e attenzione sono anche disponibili. Se ci entro nella loro casa con prepotenza reagiscono punto e basta. Essere sociale richiede allora gentilezza e attenzione nelle parole e nei gesti.