Non mi interessa essere un “imprenditore nel mondo della cooperazione. Ammiro chi sa fare questa cosa. Io, oltre a non esserne in grado, non lo voglio fare. Ben venga chi lo sa fare. Anche se qualche piccolo appunto io vorrei farlo al mondo della cooperazione. Io ho in testa ben altro. La nostra cooperativa è piccola e deve rimanere piccola. È uno spazio piccolo. Un luogo che può essere anche solo un segno, un simbolo di qualcosa che sa andare oltre. Sono prete e non imprenditore, sono uno che crede che oggi si possa esercitare il ministero sacerdotale non soltanto passando per la vita parrocchiale, ma anche attraverso altro. La mia vuole, anzi prova, ad essere una testimonianza di ascolto, di accoglienza, di lavoro manuale, anche di preghiera attorno alla parola. La cooperativa è solo uno strumento per fare tutto questo. Credetemi è davvero così. Ritengo importante che la chiesa, dentro un attento esercizio di discernimento e di comprensione, possa provare a sperimentare nuove vie di presenza dei sacerdoti. Qui c’è un orto per lavorare, qui c’è una casa con la porta aperta, anche se è vero che qui non dorme nessuno. Qui c’è anche il sufficiente silenzio per vivere una dimensione di ascolto e di meditazione della parola sacra. Va bene così piccolo spazio per vivere, per sperimentare. Non cerco altro che questo.