Io non sono assolutamente per l’unità, dove per unità che non voglio intendo tutta quella forma di uniformità. siste un solo metodo per fare un orto, esiste un solo modo per essere uomini e donne, esiste un solo modo per essere chiesa, per essere comunità, per essere società. Questa è uniformità e non unità. A unità preferisco comunionalità. Lascio da parte per un attimo l’orto che dopo la pioggia respira un po’ e mi avventuro in un discorso che non capisco nemmeno io, ma che voglio in qualche modo provare a dire alla mia maniera proprio sul tema dell’unità o della comunione. L’unità non è un concetto fermo, oserei dire statico, ma dinamico. Per farmi capire uso due parole: trinità e danza. L’idea che ho in mente io e che penso non va lontano da un’ idea di trinità che ritengo buona è la seguente. Tutti in qualche modo cerchiamo unità e comunione, ma per arrivare a questo abbiamo bisogno delle diversità. La trinità infatti non è la negazione delle diversità, ma la danza delle diversità. La parola che sento più vicina a questo concetto è queer, cioè della fantasia delle diversità, della ricerca di unità delle diversità, attraverso la creatività di ciascuna diversità che porta a comunione le diversità. In un certo senso nella trinità più si afferma la diversità e l’individualità, non l’individualismo, più si va alla ricerca della comunione. Certo se prevale l’individualismo e non la diversità e l’individuo, allora non ci sarà mai comunione e unità. Per esempio in una famiglia la capacità di valorizzare le singole individualità può essere un buon segno di unità. Ho detto può essere perché so bene che non sono processi automatici. Penso che continuerò a pensare e scrivere su questo ancora per un po’, sperando di non confondermi troppo.
Non possiamo essere omologati. Nasciamo unici, irripetibili, anche i gemelli sono diversi. È nella capacità di accogliere, sperimentare valorizzare le nostre diversità, che si crea com-unione.
Non è sempre facile comprendere chi è “altro” da noi, ma credo che questo sia ciò che per primo Gesù ha voluto comunicarci.