Anche io ho le mie persone moleste. Anche io esercito ogni giorno questa fatica e questa arte del pazientare. A volte ci riesco a volte non ce la faccio proprio. E quindi perdo la pazienza proprio con queste persone moleste. Ma chi di noi può dichiarare di non avere qualche persona molesta e chi di noi può dire di essere esperto in questa arte del pazientare? Questa virtù permette a tutti noi una convivenza sociale buona, rispettosa. Se manca questo rispetto e questa pazienza non c’è nemmeno spirito di fraternità. Possiamo quasi dire che questa opera è il collante di tutte le altre, è quella che lega insieme ogni nostra azione, ogni nostra opera di carità. La pazienza è l’unità di tutte le opere di misericordia. Ma sappiamo bene, anzi so bene come è difficile questa arte della pazienza e della sopportazione. Sant’Agostino così scrive a proposito di questa opera di misericordia: “Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori, guardarsi dai maligni, istruire gli ignoranti, stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, moderare gli ambiziosi, incoraggiare gli sfiduciati, pacificare i contendenti, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e [ahimè!] amare tutti”. È interessante come la citazione si conclude con questa affermazione: tollerare i cattivi e (ahimé) amare tutti. È quell’ahimè che mi prende, come a dire che anche un santo come Agostino prende atto quanto sia difficile amare tutti. Costruire relazioni con gli altri passa anche attraverso il riconoscere che ci sono persone che ci vanno a genio e persone che sono moleste, come io vado a genio a qualcuno e sono molesto per altri. Un sano realismo allora mi chiede di vivere queste relazioni faticose secondo due indicazioni: anzitutto quella si saper “sopportare”, verbo che deriva da un’espressione greca che significa “rimanere saldi”, “portare il peso”, quel peso rappresentato da quanti incontriamo e mostrano la loro inadeguatezza e debolezza; e poi la virtù della “pazienza” che a sua volta è la traduzione di un altro termine greco che si potrebbe tradurre con “magnanino”, “dall’animo grande”, “capace di guardare oltre le singole fragilità, i singoli fallimenti”. Lungi dall’essere sinonimo di debolezza, la pazienza è forza nei confronti di se stessi, capacità di non agire in modo affrettato, attesa dei tempi dell’altro, capacità di supportare l’altro, di sostenerlo e portarlo. Forse la traduzione evangelica di questa opera è l’amore per il nemico. il Signore Gesù ci chiede un lavoro su di noi per imparare a conoscere e ad amare il nemico che è in noi, ciò che in noi è molesto, ciò che è insopportabile a noi stessi e che Dio, in Cristo, ha sopportato pazientemente amando noi in modo incondizionato