Ero quasi tentato di saltarla questa opera di misericordia che porta il nome di seppellire i morti. Non ho una grande frequentazione con questa opera. Adesso poi che non sono parroco le occasioni per seppellire i morti, per un funerale sono poco. Sento un po’ lontano da me questa opera. Ma visto che ci sta nel numero delle opere di misericordia corporali vediamo di scrivere qualcosa, spero di sensato. Nella bibbia vi è un libro che si chiama libro di Tobia. E qui il vecchio Tobi sfidava la legge del re che vietava di dare degna sepoltura ai morti in città. Egli usciva di notte e seppelliva i morti come segno di pietà, sfidando la legge del re. Ma anche nell’antica Grecia abbiamo una figura che rende pietà a morti. Si tratta di Antigone, la quale va incontro alla morte per aver trasgredito la legge del re di Tebe che le proibiva di dare sepoltura al fratello. E poi noi abbiamo provato sulla nostra pelle che cosa ha voluto dire durante la pandemia l’impossibilità di un saluto, di una preghiera, di un rito per tutti i nostri defunti. Chi non ricorda le immagini di quella lunga fila di camion dei soldati che portava tutti quei defunti per il covid. Il gesto della sepoltura è un gesto che non è per la morte, ma per la vita, perché noi credenti crediamo nella resurrezione. Ma anche per chi non è credente rendere onore ad un defunto è rendere onore alla sua vita, è fare memoria della sua storia. Il gesto della sepoltura è di più di un gesto di pietà, è invece memoria, vita, resurrezione. É riconoscere il debito per il bene che ci hanno fatto, per i valori che ci lasciano in eredità e di cui diventiamo responsabili. E poi ci sono tutti morti che nessuno ricorda mai, i morti del mare, i morti della guerra, i morti dimenticati nei deserti del mondo, i morti della violenza umana. anche di questi dobbiamo anche solo avere pietà. In questa opera di misericordia c’è di mezzo il senso ultimo che riusciamo a dare all’avventura umana e la risposta che riusciamo a dare alla domanda sul “dopo. Ma c’è di mezzo anche un’altra cosa. c’è di mezzo un atto pubblico. “A differenza di quel che succedeva in passato, ai giorni nostri, quando il malato muore ormai in ospedali del tutto anonimi, il morire non conosce più uno «stile»” scriveva Karl Rahner. Contribuire al recupero di questo «stile» capace di comunicare anche all’uomo del nostro tempo un senso inedito e impensabile alla stessa morte è un modo straordinariamente necessario per attualizzare l’opera di “seppellire i morti”. E lo stile è quello di una pietà comune, pubblica e non privata, anche nell’atto della sepoltura. È una comunità intera che si raccoglie attorno ad una famiglia per il dolore di aver perso una persona cara.