Se tutto quanto ho scritto fino ad ora sulla preghiera è vero, almeno così spero; anzi diciamola così: se questa è la mia esperienza semplice riguardo alla preghiera, possiamo arrivare ad una forma di definizione della preghiera? Si può fare, come fanno tanti testi e manuali sulla preghiera, ma corro sicuramente il rischio di chiudere l’esperienza della preghiera dentro una definizione, ma la preghiera è ben più grande di ogni definizione. Penso che ogni libro o manuale che si occupa di preghiera deve avere almeno il coraggio di dichiarare che in quel libro, in quel manuale c’è solo una piccola parte di quell’infinità di cose che si possono dire proprio sulla preghiera. Quello che sto per scrivere io adesso non è una definizione; alla domanda che cosa è la preghiera io non so rispondere con una risposta precisa. Lascio invece solo alcuni pensieri che nascono dalla mia piccola esperienza. Nella lingua latina preghiera è legato a precario, preghiera e precario sono la stessa parola. Ma è anche incerto, fragile. Quando prego mi metto di fronte a Dio con la mia precarietà di vita, con la mia fragilità, con la mia incertezza e chiedo a Lui che è solido, certo e stabile di donarmi stabilità e coraggio di vita. La mia preghiera è dialogo con Dio che nasce dal mio essere precario e fragile e che incontra ogni giorno fragilità di vita e precarietà di vita. Io credo di non avere una grande esperienza di preghiera nel senso di essere maestro di preghiera, sento invece che sempre di più essa nasce come invocazione continua che chiede il dono di superare la mia fragilità e la mia precarietà. Io sono il precario, Dio è colui che è stabile e allora invoco Lui con questa invocazione: Signore abbi pietà di me che sono un peccatore.