«Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre» (Salmo 137,1-2) è l’inizio del salmo che canta l’esilio di Babilonia. Oggi un ragazzo a scuola, mentre parlavo di api e di sciamature di api, ha usato queste espressione: li manda in esilio, lontano da casa. All’inizio ci ho sorriso sopra, ma poi mi son detto che quel ragazzo aveva centrato l’obiettivo: lontano da casa, in esilio. E allora mi sono preso questo salmo cantato sui fiumi di Babilonia da chi era lontano da casa, in esilio. Come faccio a cambiare registro se mi sento lontano da casa, in esilio? Come ha fatto quel popolo in esilio, lontano da casa a cambiare registro e a tornare a sperare? Cantando sui fiumi dell’esilio, cantando sui fiumi del dolore, della lontananza. Forse questo salmo cantato in esilio è la miglior cosa prodotta da quel popolo in esilio. Un canto che si fa preghiera, un canto che vuole dare senso ad una tragedia grandiosa, un canto che fa cambiare registro, che rimette in moto la vita. lo voglio commentare con calma. Inizio in questo modo. La in quella terra straniera sui fiumi di Babilonia i cantori del coro appendono le cetre ai salici. Non suonano più. In terra straniera, in esilio non i possono cantare i canti della propria terra. Chi vive del dolore non può cantare un canto di gioia. Al massimo può cantare un lamento. Le cetre dei cantori sono appese e mute ai salici lungo il fiume. Per il popolo in esilio certi canti si possono cantare solo a Gerusalemme, la città santa o come veniva definita dagli ebrei: la luce dei miei occhi. L’unica cosa che rimane da fare è una promessa: in questo tempo di esilio promettere che non mi dimenticherò di te Gerusalemme. Quando tutto si fa incerto e faticoso e si vuole cambiare registro ma abbiamo appeso la nostra cetra ad un ramo per non sperare più, vale la pena di fare una sola promessa: «Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia» (137,5-6). Promettere che non ci dimenticheremo di sperare in un ritorno dall’esilio.
Buongiorno e grazie per questa riflessione.
Il dolore dell’esilio non è generato solo dalla lontananza dalla terra, ma anche dalla lontananza dai propri valori di vita dovuta alla nostra forma umana che per motivi di orgoglio ci fa perdere la vicinanza al nostro prossimo, subendo poi degli esilii.
Grazie.