Vorrei sospendere un attimo queste riflessioni sul dolore e sulla croce per raccontare la bellezza della giornata di ieri in cooperativa. Veramente di una bellezza che salva il mondo. Ma ne parlerò con calma. Anche perché quella faccenda del grido innalzato a Dio è ritornata con prepotenza ancora nel mio cuore. L’uomo della croce vive per un attimo questo momento come l’abbandono di Dio. Come sembra dire Gesù: ho fatto tutto per Te ed ora tu qui mi lasci solo sulla croce? Quando sento il dolore dentro, io mi rendo conto di una cosa, intuisco la piccolezza della mia vita, la fragilità della mia vita e come conseguenza l’abbandono della mia vita pensata e costruita sulla fiducia. Don Roberto viveva la sua vita da ammalato come attaccato ad una corda di montagna che lo assicurava a quella parete che era la sua malattia. Parete a volte liscia e senza appigli a strapiombo sulla vita stessa. Una corda lo teneva legato alla parete, come quando andava in montagna. Leggendo, scopro una cosa interessante che non sapevo e a cui non avevo ma pensato. In latino fides-fiducia significa e diventa anche corda. Il grido di Gesù sulla croce diventa la sua corda di sicurezza. Don Roberto aveva questa corda che era la sua fides- fiducia, affidamento. Gridare la nostra fragilità è la corda che ci permette di continuare a confidare in Dio. Non si spezza il legame di fiducia con la vita e con Dio, nella misura in cui tengo un legame con lui anche solo attraverso un grido. Chiudere anche con questo grido vuol dire chiudere con la fede -affidamento, vuol dire togliere quella corda che mi lega alla parete della montagna. Togliere quella corda -fiducia vuol dire arrampicare in libera sulla parete, rischiando poi di cadere perché siamo affaticati e fragili. Gesù sulla croce non accusa Dio Padre perché lo ha ridotto così. Quell’uomo sulla croce con il suo grido mantiene un legame di fiducia con Dio, si tiene legato alla corda di sicurezza che è la fiducia in Dio