Mi lancio in un pensiero che non so nemmeno io dove mi porterà di preciso. Ieri concludevo scrivendo: siamo così convinti di essere liberi di fronte a questo pifferaio magico che è il consumo? Io spero che possiamo avere sufficiente coscienza e discernimento per valutare bene su come non lasciarci prendere da questo pifferaio magico, che è la pubblicità che ci porta a consumare. Credo che uno dei modi con cui possiamo evitare questo tranello è quello di pensare che un dono crea una relazione e non una dipendenza. Con le mie api ho creato una relazione creativa buona, con il mio orto succede la stessa cosa: non sono dipendente da esso, sono invece capace di considerare che è un dono per me, un dono creativo, un dono che crea una relazione buona. La stessa cosa mi succede con gli amici: in genere cerco di costruire relazioni buone che partono dall’idea che l’amicizia è un dono creativo. Ritengo importante infatti considerare il dono non come un oggetto di scambio, una merce che va spartita. Meno ancora ritengo che il dono debba aver bisogno di un continuo ricambio: io ti dono e tu in cambio mi doni. Non è questa la grande regola del dono. La grande regola del dono è creare relazioni, è creare reciprocità gratuita, in nessun caso deve creare relazioni di dipendenza. Il capitale ha inventato il dono che richiede dipendenza e non donazione e non gratuita e non creatività. Il capitale offre un dono da cui dipendere. Se prendiamo la pubblicità, che abbiamo scoperto essere una narrazione, ci accorgiamo subito di come questa utilizza il dono non per creare relazioni, ma per creare una dipendenza da un prodotto che deve essere venduto. La cosa più importante, e anche più drammatica, è che la pubblicità, il capitale, spaccia per dono un prodotto da cui dipendere. Peggio ancora: non è la singola persona a dipendere da quel dono ma è l’intera comunità che impara a essere dipendente da un prodotto. Quel vestito, con quella marca, diventa un dono che crea dipendenza e attorno a quel vestito e a quella marca si forma una comunità che dice che è importante quel dono, una comunità che afferma che quel vestito, che quella marca, sono il meglio che esista. Immaginate la stessa cosa per i telefoni: una comunità si aggrega attorno ad un modello e dichiara che quello è il meglio che esiste sul mercato. Il capitale, la pubblicità ci induce a pensare a tutti gli aspetti positivi di quel dono – prodotto che ci sembra il meglio. Non più un dono per creare relazioni, ma un dono – prodotto che crea dipendenza. Mi sembra che oggi nascono tantissime comunità virtuali attorno a prodotti che vengono spacciati per doni. Ci vuole tanta Sapienza e tanto discernimento per non cadere in questo tranello, per fare in modo che il dono non crei dipendenza, ma relazione.