Posso pensare alla fedeltà come ad un impegno, i più impegnati dicono ad un’ascesi, un lavoro impegnativo su di sé. E in parte può essere vero. Ci devo mettere anche del mio dentro questo cammino di fedeltà. Posso pensare alla fedeltà come ad un rispetto di una regola. Una volta, quando ero giovane stilavo regole di vita per tutti, forse mi dimenticavo che dovevo stilarla anche per me. O meglio, la stilavo, ma rimaneva nel cassetto. Oggi mi basta una piccola regola come punto di riferimento, la stella polare rimane il vangelo. Ma soprattutto non stilo più nessuna regola per nessuno. Posso pensare alla fedeltà come alla grande responsabilità nei confronti della mia vita e della vita altrui. Ed anche questo è in parte vero. Mi sento responsabile della mia vita e mi sento responsabile della vita altrui, ma non gioco la mia fedeltà su questo. E allora su che cosa la gioco tale fedeltà? Uso due parole: dono e sequela. La fedeltà mi è stata donata da Dio Padre, mi è stata donata dalla vita. Un giorno qualcuno che si chiama Dio mi ha come fatto capire che quella era la mia vita da vivere, quello era il mio dono, regalato proprio da lui. Diciamo che non sono l’inventore della mia vita, mi è stata donata. Ecco perché devo essere fedele al dono ricevuto. Appunto perché è un dono prezioso. La vera fedeltà consiste nel ricordarmi, nel fare memoria della vita ricevuta, del dono ricevuto e nel fare memoria, viverlo fino in fondo con tutti i miei entusiasmi e con tutte le mie fatiche. La mia fedeltà non parte da un impegno, da una responsabilità, da una regola, ma da un dono che si fa responsabilità, regola, impegno quotidiano. E poi sequela, cioè seguire qualcuno, andar dietro a, essere puro discepolo che cammina dietro al maestro. Discepolo di chi mi ha regalato il dono della vita e che porta il nome di Dio Padre. Oggi l’unica fedeltà che conosco è la sequela del Maestro, cioè del Signore.