Con degli amici a tavola parliamo della bellezza della reciprocità così come è stata narrata nel libro del profeta Osea, ma anche della fatica a mettere in atto, a rendere vissuto quotidiano, tale esperienza di reciprocità. Gli amici ad un certo punto mi buttano li l’idea di parlare di uguaglianza. Non sto a dire il motivo da cui nasce tale idea, ma ritengo che si può provare. E così ecco alcune riflessioni proprio su questa parola. Per introdurre l’argomento parto dalla parola che segna l’opposto di uguaglianza e quindi parto da diseguaglianza. La diseguaglianza è qualcosa di tremendamente attuale: un conto è affrontare il tempo presente con tutta quella armatura di soldi, di economia, di protezioni che permettono di sopravvivere in ogni caso, piuttosto che non avere niente a disposizione per affrontare il tempo presente. Un conto è avere la possibilità di inviare 18 milioni di messaggi in due giorni agli americani (vedi Elon Musk) per guidare le elezioni, un conto è non avere la possibilità di dire la propria perché non ho nessuna voce in capitolo. La disuguaglianza è uno dei mali del nostro tempo e se vogliamo affermare l’uguaglianza dobbiamo eliminare ogni disuguaglianza che segna la sempre più accentuata differenza tra grandi e piccoli, tra ricchi e poveri. mi sembra un dato normale: l’uguaglianza si costruisce eliminando le disuguaglianze. Ma perché la disuguaglianza è un male? Perché essa è la malattia che uccide la fraternità, perché fa saltare la normalità, l’uguaglianza appunto dei rapporti sociali, di quella che noi chiamiamo aspirazione alla fraternità. Anche la rivendicazione di diritti solo per qualcuno diventa diseguaglianza. Io faccio fatica a stare in pace quando vedo la diseguaglianza di diritti, di stato sociale, di ricchezza non condivisa; se volete tutto questo è inaccettabile dal punto di vita etico e morale. Se voglio parlare di uguaglianza devo avere il coraggio di ammettere che il mondo oggi è diseguale e certo non è una cosa buona e accettabile. Questo è il dato da cui partiamo.