Leggo dal mio manuale dell’orto una definizione di questa pratica che si chiama consociare ortaggi che in qualche modo mi sorprende un po’ e che mi fa riflettere su questa questione del consociare. La definizione dice così: ognuno di noi prova simpatia o antipatia per determinate persone piuttosto che per altre. Agli ortaggi succede la stessa cosa: hanno delle affinità con alcuni e sono incompatibili con altri. La questione della simpatia e dell’antipatia per gli umani mi sembra azzeccata, anche io ho simpatie e antipatie, niente di strano. Mi era un po’ sfuggita l’idea che anche gli ortaggi sono soggetti a tale questione. La tecnica specifica si chiama consociazione tra ortaggi ed esistono delle tabelle che spiegano come consociare gli ortaggi in modo che si possano aiutare nella crescita. Faccio solo un esempio: il pomodoro ha come amico il sedano, cicorie e come nemici le patate e i piselli. Nel nostro orto non siamo consociati e quindi non seguiamo queste tabelle. Speriamo sempre che ogni ortaggio possa diventare amico dell’altro. Ci speriamo, ma in natura non funziona proprio così. Io ci spero anche tra gli umani. Mi dico se sto vicino ad un che mi è antipatico a forza di stare accanto a lui, lo conosco meglio e allora mi diventa simpatico. Non è poi vero che è così. A volte lo stare troppo vicino produce effetti strani e pericolosi. Il con-sociare nelle relazioni tra gli umani richiede una serie di accorgimenti che se non si applicano con attenzione non producono consociazione, ma divisione. Per chi è credente, mi direte subito, che esiste quel comandamento dell’amare il prossimo, del perdono. Anche qui solo una domanda: ma è poi così scontato che si può amare tutto il prossimo allo stesso modo? È così scontato che il credente sa perdonare sempre e comunque? Dico solo una cosa riguardo al con-sociare gli umani: nell’orto si dice che per consociare gli ortaggi serve un continuo mixaggio, un continuo rimestare, un continuo mescolare la terra e i semi. Se voglio con-sociare l’umano serve un continuo meticciato, un continuo rimescolare le carte in gioco. Non serve sicuramente mettere i muri e definire l’umano in base a colori, culture e religioni, non serve definire il recinto entro cui abito e chiedere di entrare dentro quel recinto. forse serve aprire i recinti.